Il mio primo giorno di scuola

Prima elementare, foto di fine anno alla Scuola di Piazzale Giusti

Del primo giorno di scuola non ho fotografie, non c'erano macchine fotografiche a casa mia. Ricordo che, per mano della mamma, ho percorso la strada che da casa nostra portava alle scuole di Anconetta, un vecchio edificio al di là della ferrovia. La mamma mi aveva preparato di tutto punto, con il mio grembiulino nero e il nastro con il fiocco azzurro. Questo nastro aveva richiesto una particolare attenzione. Mia mamma aveva dovuto bruciare le estremità del nastro onde evitare che lo stesso cominciasse a sfilacciarsi e a distruggersi. Qualche filo avrebbe potuto attirare l'attenzione di qualche altro bambino che tirandolo,  oltre a distruggerlo, l'avrebbe anche tutto stropicciato e avrei rischiato di trasformarmi in un pacco natalizio. Vedo tanti bambini che entrano, sono quelli delle altre classi. Noi della prima elementare rimaniamo sui gradini della scuola. Arriva una signora con il suo grembiule nero, chiama i bambini, e ad uno ad uno devono lasciare la mano della mamma ed entrare dentro quel portone enorme, fatto di legno vecchio, di vernice scrostata e vetro smerigliato. Paolo Lavarda, il mio nome, devo lasciare la mano della mamma, devo resistere, non devo piangere. E' la prima volta che mi trovo da solo con così tanta gente, è il mio primo compito da cittadino, non lo so ancora, ma sto diventando parte dell'ingranaggio sociale. Faccio quei gradini e la signora mi fa entrare dentro quel portone enorme. L'aula è al pianterreno, a destra, e dà sulla strada. I pavimenti sono tutti a piccole macchie colorate e anche abbastanza ondulati. Entro in classe, enorme, forse perché ero piccolino, con delle finestre ampissime su due lati. Mi accoglie la maestra e mi fa sedere al mio posto. Un banco di ferro color grigio, con un piano in formica color verdino. Sulla destra del banco, un buco nero e non capivo ancora a cosa potesse servire. Le pareti erano coperte di tanti cartelloni con dei disegni di animali e oggetti con  uno strano scarabocchio sotto. Ogni cartellone aveva un animale e uno scarabocchio diverso. Erano le stesse figure e gli stessi scarabocchi che c'erano su quel libro che la mamma aveva ritirato dal libraio, assieme al libro di lettura, con il buono che le avevano dato a scuola. Aveva un nome stranissimo che non avevo mai sentito : abbecedario, me n'ero dimenticato, ma una volta si imparava a leggere così. La maestra ci dice di aprire il nostro quaderno e prendere dall'astuccio la matita. Il mio astuccio, rosso, chissà recuperato come, forse da mia zia, con qualche mozzicone di matita colorata, una cannuccia e 2/3 pennini per scrivere con l'inchiostro. Non aveva di certo supereroi o principesse del freddo disegnati sopra, ma era già tanto che fosse con la cerniera aggiustata. Il primo compito è cominciare a fare tanti piccoli segni, le aste. Prima dall'alto del quadretto al basso, poi solo un'asta sulla linea in basso del quadretto, poi sopra sulla linea in alto. Senza uscire dal bordo, mi raccomando, precisi bambini. Insomma un mucchio di righette, quadratini, cerchietti. Devo ammettere che non ho ricordi di quella maestra. Quello di cui mi ricordo bene è la bidella, che ogni mattina entrava in aula con il grembiule nero e quella sua brocca di vetro nera in mano. Passava per i banchi e riempiva il contenitore a destra del banco con l'inchiostro. E con la cannuccia e il pennino, cominciai a riempire pagine di lettere scritte in corsivo: a, a, a, a, e, e, e, e, i, i, i, i.....   Ma quanti disastri facevamo noi bambini! Il minimo era quello di tornare a casa con le dita tutte sporche di blu scuro, e sapevamo che ci attendeva la tortura materna, sapone di Marsiglia o Tide e la spazzola " bruschetta", e grattare. Dopo tre mesi dall'inizio della scuola, nel 1962, ci siamo trasferiti in città. Cambiamento radicale di vita. La zona dove andavamo ad abitare era sotto la giurisdizione della scuola di piazzale Giusti. Questa scuola era proprio di città, frequentata dai bambini di una certa elite, tutte quelle famiglie benestanti che negli anni sessanta abitavano nella zona di viale Milano, viale Torino e Corso San Felice, allora una zona "in" di Vicenza. Per me il cambiamento fu grandissimo e mi ritrovai in prima sezione B, la classe di serie A. Tutti i giovani pargoli della Vicenza bene erano raccolti in quella sezione. Forse per una supposta omonimia, mi ritrovavi in quella sezione. Ma ero completamente fuori posto, lo sapevano i classisti, lo sentivo io sulla mia pelle. Mi comportai bene quell'anno, venni promosso con tutti dieci, e grande fu la soddisfazione da parte dei miei genitori, ma l'anno successivo non ero più in sezione B della sede centrale, ma in sezione B della sede distaccata di Motton San Lorenzo.

Seconda elementare in Motton San Lorenzo, sede staccata. Io sono l'ultimo in basso a destra, sopra di me Diego Scortegagna e Tosato.

Quella era proprio la sezione dove io dovevo andare a finire, fra la gente del popolo e non certo tra l'elite. Non avevo più la maestra Bonollo, ma avevo il maestro Sovilla, che non disdegnava ogni tanto a menare le mani. Le spese più grosse le fece il mio amico Walter Schiavo, il quale una volta finì dietro la lavagna e si prese talmente tante astucciate sul viso, da parte del maestro, che gli uscì copioso sangue dal naso. Ovviamente erano altri tempi, non credo che i genitori di Walter abbiano fatto qualche azione, forse le ha prese anche da loro quando è arrivato a casa. Ma se fosse successo adesso, come minimo il maestro sarebbe in galera. L'anno dopo, in terza elementare, ritorno in piazzale Giusti. Terza, sezione B, col maestro più favoloso che io potessi pretendere. Il maestro, o meglio MAESTRO con non solo la M maiuscola, ma tutta la parola, Piero Franceschetti. Maestro, educatore, poeta, pittore, partigiano. Anche se io ero un disegnatore pessimo, da lui ho imparato tutto e intendo dire lo stare a questo mondo. Sapeva come farci divertire, essere competitivi tra di noi,  nessuno era escluso dalla lezione e dal suo metodo educativo, guardare le cose più vicine, per imparare come funziona il mondo. Cose viste, questo era il tema giornaliero che ci assegnava. Oppure le sue lezioni di matematica e geometria era fatta di indovinelli a chi indovinava la misura della soglia della porta, o la larghezza della cattedra. Educazione civica era quiz sulle targhe a quale città corrispondeva. Geografia, qual era il fiume che occupava nella classifica per lunghezza una determinata posizione. Non c'erano evidenti simpatie. Chiaro su me e Gobbetti poteva contare e per questo ci affidava compiti più ardui per darci quella possibilità in più! Però tutti partecipavano alla lezione, dal più vecchio che era Zocca, che ormai era un uomo, e in classe qualche volta ce l'ha dimostrato, sconvolgendoci, a quelli più deboli e fragili a livello scolastico. Conservo gelosamente il libretto scolastico in cui traccia il mio profilo di ragazzo, ma anche quello mio futuro di uomo. "Questo il giovane uomo, positivo, attento e ragionatore........"

Quinta elementare Piazzale Giusti. Quelli che mi ricordo da sinistra: Pigato, Celotto,Lavarda, Tosato (dietro di me) Schiavo, Zocca, Gobetti, Tonon, Valery

In terza elementare comincia il doposcuola con le sue recite. Io fui scelto come protagonista per raccontare una storia di una famiglia di elefanti, e questa storia doveva essere raccontata e cantata, con tanto di accompagnamento di pianoforte. Dovevo sfoderare tutte le mie capacità canore e recitative. Umpa umpa umpallero, questo era il motivetto che dovevo cantare, ma dovevo modularlo a seconda se stavo illustrando il modo di camminare dell'elefantino, molto veloce e con voce squillante, oppure quello della mamma o del papà, molto meno veloci e molto più bassi di tonalità, in proporzione alla mole, e come si sa il papà è più grosso! Fu successo, ma la cosa che mi rendeva più felice era che potevo frequentare il backstage. Qui si preparavano delle altre bambine recitanti, danzanti, che in calzamaglia e con dei tutù, avrebbero dovuto fare una danza. Insomma praticamente nude! Ma tra queste ce n'era una che mi affascinava in maniera incredibile: La Coppola! Livia era una bambina di aspetto quasi esotico, di alta borghesia, una delle famiglie più in vista di Vicenza. Chiaramente già dirle ciao era un risultato. L'ho ritrovata dopo molti anni, chiaramente non le ho detto nulla, era l'anestesista di un intervento che avrei dovuto subire. Erano trascorsi 39 anni, ma la sua esotica bellezza era intatta.

Arrivò anche il presidente della Repubblica Saragat e tutti dovemmo recarci al teatro Roma per cantare Fratelli d'Italia. Non ricordo se fossimo solo noi di Piazzale Giusti o anche altre scuole, ma ricordo la maestra di pianoforte, che era la stessa che mi aveva accompagnato per lo spettacolo degli elefanti, che ci ha preparato divinamente per poter cantare l'inno nazionale. Un ricordo che rimane ancora vivo.

Il mio libretto scolastico. Il profilo finale redatto dal Maestro Piero Franceschetti

Commenti

Posta un commento