La mia storia di Lima


 

 

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Cari appassionati di Lima, forse il termine più giusto sarebbe maniaci, maniaci del rimanere ancora bambini. Ecco il mio primo contributo come aneddoto, forse neanche chi ha lavorato in Lima conosce questo aneddoto mio personale. Nel 1946 Lima veniva creata e la prima fabbrica si trovava, se non erro, in via X Martiri a Vicenza. Essendo io stato assunto nel 1972 a 17 anni, come segretario del dottor Poggi, direttore amministrativo, e socio della Lima stessa, avevo accesso ai vari libri matricola ed altro. Qui scopersi, con grande sorpresa, che il numero uno nei libri matricola, ma non più dipendente, era stato il mio futuro suocero, Munaro Luigi. Infatti era stato assunto dalla Lima al momento che fu fatto l’acquisto di una macchina per pressofusione usata, per la produzione di giocattoli in metallo come cucinette ed altro, e l'operaio addetto aveva seguito il destino della macchina trasferendosi in Lima. Il sottoscritto invece era stato iscritto nel libro matricola impiegati al numero 101, con mansione di stenodattilografo, praticamente il segretario del dottor Roberto Poggi. Cavolo, Costa mi aveva fregato il numero 100 ed era stato assunto lo stesso giorno mio.

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Era iniziato il 1972 e da lì a poco avrei dovuto entrare nel mondo del lavoro, non avevo alcuna idea di come fare e mio papà, operaio, non di certo aveva le conoscenze giuste per farmi entrare nel rutilante mondo impiegatizio. Il primo colloquio l’ho avuto tramite il Sindaco, che, mio insegnante, di sua iniziativa mi propose al suo ufficio personale per vedere cosa fare di me. Ma ahimè non avevo ancora 18 anni, anzi non ancora 17 e a malincuore dovetti rinunciare al posto fisso in Comune. Alla fine della scuola non mi restava che giocare la carta del prete insegnante di religione, che anche lui, mi aveva detto di andarlo a trovare che mi avrebbe aiutato. Fece 3 telefonate, alla Star, all’oreficeria Fibo, e alla Lima. Visti i miei voti, e soprattutto visto che era la telefonata del Segretario del Vescovo, non dissero di no e andai ai colloqui. Chiaramente scelsi Lima per la vicinanza a casa, potevo alzarmi alle 7,30 per essere al lavoro per le 7,50.

Incontrai il mitico dott. Roberto Poggi, di cui tanto avevo sentito parlare da mia madre in quanto, sartina negli anni fine 40 inizi 50, vedeva questo elegantissimo e sicuramente bell’uomo, frequentare la sartoria dove lavorava. In verità io ero stato anche in classe alle elementari con il figlio Marco. Essendoci trasferiti dalla immediata periferia al centro di Vicenza, avevo iniziato da 3 mesi la prima elementare e fui inserito nella classe 1^ A dove appunto c’era anche il figlio del dottor Poggi assieme a tutti i rampolli della Vicenza che contava. Evidentemente c’ero finito per sbaglio in quella classe, forse ingannati dal mio cognome che poteva presagire l’appartenenza ad una famiglia più facoltosa. Ed infatti l’anno successivo, nonostante tutti 10 in pagella, mi ritrovai in un’altra classe, più consona alla mia classe sociale e in una sede staccata.

Direttore amministrativo e socio di minoranza il dott, Poggi mi assunse come stenodattilografo e suo segretario. “Nulla sfugge a questa amministrazione”, questo era il motto del baffuto dott. Poggi, ed era vero!!! Persona integerrima, portamento ed eleganza da incutere timore in un giovincello come me, ma anche paterno, comprensivo e “scanzonatore”, come si addiceva anche alle sue origini meridionali! Ovviamente il mio soprannome nei primi mesi di lavoro fu “el fiolo del prete” (il figlio del prete), in modo da distinguermi da altri tipi di figli di padre più o meno nominato.

Purtroppo ai primi del 1973 si ammalò e ci lasciò nel giro di pochissimi mesi. Così venne a mancare una guida, a mio parere, fondamentale, che probabilmente avrebbe anche saputo guidare bene la barca nei difficili anni 80.

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Adesso entrate alla Lima con me: quando ho cominciato io a lavorarci l’ingresso era quello nuovo in Via Imperiali 77 e non più in Via Massaria. Si saliva una piccola, larga scalinata e si entrava da una ampia porta in legno e vetri. Quello che notavi subito, era il pavimento di marmo rosso, con enormi ammoniti che ripetevano il loro motivo soprattutto sugli ampi gradini della scala a chiocciola che portava ai piani superiori. La via d’accesso era quasi sbarrata dalla scrivania del maresciallo Giulio D’Accordi, parente della signora Bisazza, non so in che grado di parentela. Naturalmente era “il Maresciallo”, nulla e nessuno passava se non era stato adeguatamente vagliato dal suo occhio. Chi fosse di lì entrato come fornitore, sa bene che la saletta dietro alle scale era adibita ad attesa e ai colloqui con quei fornitori che non avevano accesso agli uffici. La scala a chiocciola, imponente (così mi sembrava allora) e che mi ritorna ancora in mente nelle mie meditazioni quotidiane per creare profondità, portava di sopra agli uffici, un enorme corridoio, praticamente parallelo a via Massaria e in ordine aveva l’ufficio commerciale, sia estero che Italia, con a fianco l’ufficio amministrativo dove trovai i miei primi colleghi: Gianna Nicoletti, colonna storica e braccio destro del dott. Poggi, Orazio Pigato, ufficio del personale, Annalisa  amministrazione estero. Ometto volutamente i cognomi delle persone ancora tra noi, agli altri un caro ricordo. Più avanti il centralino dove era impossibile non notare Laura! Lingua svelta soprattutto a placare battute maschili e maschiliste! In fondo al corridoio il centro elaborazione dati, una cosa fantasmagorica a quei tempi che forse raggiungeva qualche decina di kilobytes di elaborazione dati con lettori di schede perforate e relative signorine che perforavano le schede: Anna, Giovanna, Carla, Sandra tutte regolarmente con camice bianco ma, intriganti in quei camici! (Ripeto state tutto vedendo con gli occhi di un 17enne). Giù dalle scale, e praticamente sotto agli uffici amministrativi, l’ufficio progettazione e disegnatori con accanto l’officina stampi. Non c’era ancora il computer e tutto veniva disegnato al tavolo con tecnigrafo. E anche in officina tutto tornio, pantografo, fresa ecc. anche l’elettroerosione era forse ancora agli albori.

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Montagne di carte e fumo, quello era l’ufficio di Dante Mainardi, direttore tecnico (ancora vivo e vegeto), quando non c’era fumo voleva dire che stava tentando di smettere di fumare, allora la scrivania era piena di buste e stick di caramelle e non saprei dire se il fisico potesse essere stato sottoposto più a stress dalle sigarette o dalla montagna di caramelle sostitutive. Dante era il centro di tutto , il deus ex machina da quando veniva deciso l’articolo da fare, a quando il prodotto usciva in commercio, progettazione, realizzazione stampi, rapporti con i fornitori di materie prime e lavoranti esterni, direzione della produzione. Persona corretta, signore, come del resto la maggior parte degli anziani della Lima, con loro non si imparava solo a lavorare, si imparava a stare al mondo in modo corretto, senza sgomitare. Aveva trovato nel fratello Edoardo, il collaboratore più fidato possibile per portare avanti l’ufficio progettazioni e officina stampi. Abitava nella mia stessa via e qualche volta approfittavo di un passaggio sulla sua 131 grigio metallizzato. A fianco del suo ufficio c’era la porta che ti immetteva nella realtà produttiva. Per prima la sala macchine, con varie presse ad iniezione per stampaggio materie plastiche di svariati tonnellaggi, dalle 30 ton alle 200 ton se non ricordo male, e alcune presse verticali per lo stampaggio ad inserto dei binari. Penso che molte industrie vicentine, produttrici di macchine per lo stampaggio, debbano le loro fortune alla Lima e ai suoi acquisti. Qui Giorgio Michelotto, sempre in camice grigio scuro, dirigeva il reparto sotto la guida di Dante Mainardi. Generalmente lo stampaggio di carrozzerie di locomotori e vagoni erano fatte ad una sola impronta, mentre gli accessori e i particolari più piccoli potevano essere, ma anche no, a più impronte. I materiali allora impiegati erano in prevalenza il polistirolo antiurto e cristallo, o l’ABS per le carrozzerie e i vetrini, il Nylon ignifugo per i trasformatori e polipropilene o polietilene per particolari che richiedevano una elasticità e resistenza maggiore. Per un diciassettenne lo stampaggio era poco interessante, le signore erano di una certa età, magari erano vecchie di 35 anni (ah ah ah!!), e gli uomini per lo più erano anziani e di modi rudi! Pertanto velocemente si passava al magazzino materie prime e semilavorati, dove Dal Lago dirigeva con cipiglio e senza compromessi. Se erano rudi gli uomini della sala macchine, non ho aggettivi per quelli del magazzino, che davano il meglio di loro in occasione del passaggio di qualche bella ragazza, soprattutto di quelle del centro meccanografico. Con il montacarichi si accedeva alla sala montaggio, dove venivi accolto da Maistrello, capo reparto vecchio stampo, e dai vice Mariotto e Aldo Marcolongo (tuttora ottimo amico). L’imbarazzo di dover affrontare 200 donne che ti avrebbero squadrato, misurato, pesato, stimato, spolpato e chissà quante altre fantasie mi facevo dentro la mia testa sui loro pensieri, era totale, non potevo non arrossire. Ero veramente un pivello e non seppi mai approfittare della mia posizione, tanto, me lo dissero poi, io per loro ero solo “il ragazzo da sposare”, non per divertirsi!!! Cavoli ora userebbero sfigato!!!

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Donna, che io vedevo ormai vecchia, avrà avuto forse 50 anni ma anche no,Gianna Nicoletti era il braccio destro del dottor Poggi. Era la responsabile della contabilità e la sua sapienza in problemi di conti e bilanci era assoluta. Aveva un incedere molto strano, quasi sfiancato, però era un suo vezzo, con sempre la cicca in mano fumante, le gonne di flanella, il tutto contribuiva a renderla simpaticamente buffa ai miei occhi abituato alle minigonne e hotpants di quegli anni. Perché vi racconto di Gianna, non tanto per le sue capacità professionali ma, per l'episodio che ha contraddistinto il primo anno di mia permanenza in Lima. Gianna, in gioventù, aveva vissuto con i genitori in Romania in quanto avevano a Bucarest la rappresentanza della Martini e Rossi. Qui, sicuramente bella donna, aveva conosciuto il suo futuro marito, centrocampista della Nazionale rumena. Giugiu (così lo chiamava lei) Cristoloveanu. Ho fatto ricerche su vari siti ma, non ho trovato conferma, forse il cognome non è esatto, ma a suo tempo vedemmo foto di formazioni con lui dentro.  Nel 1948, Ceasescu nazionalizzò tutte le ditte straniere comprese Martini e Rossi, e gli stranieri furono costretti ad abbandonare la Romania. Giugiu rimase in Romania e di fatto si creò la divisione tra i due. Da un po' che ero lì, cominciarono telefonate strane verso mezzogiorno in una lingua latina e in maniera melensa. Era Gianna che telefonava al suo Giugiu, ma per organizzare la fuga dalla Romania. Contatti con personaggi strani, patteggiamento di varie migliaia di dollari per la fuga, ed infine una notte all'interno di un bagagliaio Giugiu varco il confine rumeno e gli altri confini della Cortina di ferro per giungere in italia. Continuarono la loro vita insieme in Italia fino a che tutti e due non lasciarono questo mondo.

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Nel 1973 entra in vigore l’Iva e si abbandona l’IGE. Dopo un anno di utilizzo delle vecchie macchine fatturatrici dell’Olivetti tipo Audit, alla fine del 1973, con l’arrivo del nuovo capo centro meccanografico, Walter Giacomuzzo (vivo e vegeto), arriva anche un nuovo elaboratore dati Honeywell megagalattico con dischi intercambiabili forse da qualche mega! Le attuali carte SIM del cellulare sono da circa 0,5 Mega!! Mi venne affidata l’organizzazione del passaggio al CED delle scritture IVA con redazione delle procedure da seguire. Devo essermela cavata bene, in quanto da lì a breve, anche dopo visita da parte dei funzionari dell’ufficio IVA che dissero che in nessuna azienda visitata avevano trovato una simile organizzazione, venni trasferito all’ufficio del Signor Silvio Conti, a capo dello stabilimento di Isola Vicentina, responsabile della programmazione della produzione, nell’aspetto del lancio della produzione, testando le necessità del mercato, responsabile del calcolo dei costi aziendali. Ecco questo era il mio nuovo lavoro da imparare, pensai che era stata veramente una promozione!

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Silvio Conti, mio maestro, uomo di una umanità e simpatia fuori dal comune. Non si poneva mai come capo e non mi trattava da sottoposto, mi insegnava la collaborazione, per lui non ero Paolino ma Paoletto, l’unico che mi chiamasse così. Sempre nella mia vita lavorativa mi sono ispirato a questi insegnamenti e spero che i miei successivi collaboratori e dipendenti lo possano un giorno testimoniare anche se ne sono certo per le esperienze umane che ho vissuto giorno per giorno con tutti loro e per il contatto continuo anche dopo anni che ho terminato il mio lavoro.

Silvio, ex calciatore, portiere del Lanerossi Vicenza, era impiegato di 1 livello, non aveva mai accettato di passare dirigente, non ne conosco il motivo. Se si guarda nelle varie testimonianze su Lima, vengono sempre riportate le sue parole e quelle di Dante Mainardi. Assieme a Dante, era l’altra colonna storica rimasta, per quanto i cataloghi scrivano delle cose, ricordo a tutti che sono scritti commerciali, non bugie ma, frasi atte a creare storia che possa avere dei personaggi simpatici. Da quel momento comincia la mia vita lavorativa sempre più  a contatto con la dirigenza in particolare con Silvio, Dante e i signori Bisazza.

Silvio è morto qualche anno fa più che novantenne. Al suo funerale l’ho ringraziato per quello che mi aveva trasmesso, in particolare per avermi fatto venire la voglia del lunedì, per amare e apprezzare il lavoro che facevo e per essere fedele e innamorato dell’azienda in cui lavoravo.

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Il nuovo ufficio era “per soli uomini”! Silvio, io e Marino. Marino esperto fotografo, audiofilo, marito invidiato della bellissima Edy dell’ufficio commerciale Italia, a lui erano affidate le realizzazioni delle scatole, e dei cataloghi e tutto quello che riguardava la pubblicità. In seguito all’ampliamento degli uffici trovò posto con noi anche Giuseppe, tecnico piccione viaggiatore, interfaccia con tanti fermodellisti e con il mondo delle fiere. Punto di raccordo tra il tecnico e il commerciale, conosciutissimo nel mondo fermodellistico. Saremmo stati ore ad ascoltare i suoi racconti di viaggio, gli aneddoti di fiere ed altro, che non si dica che gli uomini non sono pettegoli, cxxxo come ci siamo divertiti alla facciaccia dei corni degli altri!! Assieme abbiamo vissuto una importante avventura lavorativa per Lima all’estero, tema di altro capitolo. Più tardi si aggiunse anche Enrico (3), grafico con i baffi e controbaffi che affiancherà Marino sempre più indaffarato a seguire altre cose, anche personali per i Bisazza, per fotografie, cavalli, barche! Divenni anche io un po’ piccione viaggiatore, punto di collegamento tra lo stabilimento e la direzione di Vicenza e lo sterminato stabilimento di Isola Vicentina.

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Eccomi qua ad entrare nello stabilimento di Isola Vicentina e vi condurrò per mano. Isola Vicentina, paese di passaggio sulla strada che porta a Schio e verso il Pasubio, aveva due realtà produttive importanti, praticamente chi non lavorava alla filatura HF lavorava alla Lima. Nessuna famiglia non era interessata da queste due realtà. Prima del centro del paese, si girava verso destra, sulla strada di Villaverla e avanti circa un chilometro c’era una cancellata, in verità anche piccola, che avresti anche potuto passar via, rispetto alla grandiosità dello stabilimento. Sulla destra la casa dei custodi, i Casara, una grande famiglia con tante sorelle e un fratello, sempre allegre e ancora tanto amiche, praticamente tutte lavoravano in Lima! Stefania ha fatto anche la centralinista, dove indispensabili sono dotidi spigliatezza e prontezza, appunto! Davanti una porticina e il  portone del magazzino semilavorati. Praticamente le parti stampate a Vicenza giungevano qui con più camion al giorno, i semilavorati venivano scaricati qui, nel regno di Valeriano con l’aiuto Fernando, con il suo sorriso e l’incedere caratteristico. I prodotti pronti per il confezionamento venivano portati più avanti, al centro dello stabilimento, dove c’era un altro magazzino, condotto da Ezio Trentin, pelato come me adesso! Ezio era marito della mia maestra di doposcuola alle elementari, mitica quella volta che dovette pulirmi i pantaloni perché mi inginocchiai nel parco dietro la scuola, ma su quell’erba prima era passato un cane!

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In Lima si entrava e per prima cosa trovavi Carla, centralinista e aiutante di Orazio Pigato dell’ufficio personale, distaccata a Isola. Il suo sorriso è sempre vivo in me come i suoi racconti del mitico Pierre, suo storico fidanzato e spero se lo sia anche sposato!!

Due ufficetti insulsi, con quasi mai nessuno dentro, uno per Silvio e l’altro per riunioni quando venivano “i paroni”.

In fondo la porta a vetri che immetteva allo stabilimento. La aprivi e cambiavano suoni e odori. Le macchine per tampografia, quelle per serigrafia, e le OMSO a nastro, con scariche d’aria per i movimenti pneumatici, e con gli odori di vernice. Regno femminile, con tante postazioni e tanti pannelli che si infilavano su carrelli pieni di carrozzerie già decorate. Uno di questi pannelli è rimasto famoso, se lo trovassi ancora lo incornicerei! C’era scritto “Paolino ti amo” e so anche chi l’aveva scritto, ma io ero fidanzatissimo e piuttosto ligio a tutti i doveri!!

Ecco dicevo, dovevi passare in mezzo a tutte quelle donne, quasi tutte della mia età se non anche più giovani e far finta di non essere intimorito, e loro lo sapevano, lo sapevano!! Alcune di queste le ho incontrate in altre esperienze mie lavorative e siamo ancora in buoni rapporti amichevoli.

Vicino, il reparto verniciatura, allora di solo appannaggio maschile, pistole, maschere e latte! Sì perché chi lavorava con le vernici aveva, per contratto, diritto ad un litro di latte al giorno, come disintossicante…… (Isola Vicentina è grande….continua)

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Si passava per il magazzino semilavorati, accennato prima, poca luce, cosa che non mancava quando si sbucava nel reparto confezionamento, praticamente al centro dello stabilimento. Qui si raccordavano tutte le vie di arrivo delle varie merci, organizzazione perfetta! Il baffuto Bruno era a capo del reparto, uomo affabile, grande camminatore, sempre pronto alla presa in giro, ma attento a condurre le sue donne senza risparmiarsi fatiche di magazzinaggio. Anche il sornione Luigi collaborava con Bruno. Anche qui le belle donne non mancavano, Isola Vicentina era una fucina di belle ragazze e c’erano anche quelle che, per doti lavorative e non per altro, ho avuto possibilità di conoscere maggiormente. Amica e lo è ancora, Maria, bellissima ragazza, con qualche fratello di troppo dentro Lima! Persona che si fece valere professionalmente tanto da divenire impiegata al centralino quando Carla lasciò. Per gioco del fato, dopo la vendita dello stabilimento di Vicenza e alla successiva fine della Lima, trasferitasi a Vicenza, Maria lavora ancora, per altre realtà, nei vecchi uffici della Lima in Via Imperiali 77 e si siede sulla vecchia scrivania del Maresciallo, tra le ammoniti rosse come i suoi capelli!

Il confezionamento avveniva su 5/6 linee. Partiva la scatola in espanso su di un nastro trasportatore lungo il quale erano sedute, con a fianco le casse dei locomotori, vagoni  e quant’altro, un numero variabile di ragazze che aggiungevano, sull’impronta corrispondente, il materiale controllando anche non presentasse qualche difetto, in fondo, il coperchio e l’imballatore chiudeva i cartoni.

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Da lì al magazzino prodotti finiti con il reparto spedizioni. Quando arrivai io, si stava ampliando lo stabilimento di Isola Vicentina per portarlo alle dimensioni massime, con tanto di magazzino moderno con traslatore con operatore a bordo, una rivoluzione! A Isola si girava in bicicletta, per la sua grandezza e anche per non perdere tempo. Qui chi comandava era il rag. Angelo Spiller, il più anziano in Lima. Il buon umore, i suoi occhi azzurro chiaro che, ogni volta che ti guardavano, erano come una ecografia. Disponibilità anche quando mi accoglieva nella sua casa sull’altopiano di Asiago, vicino al grande focolare della cucina. La sua casa era, nei primi anni della Lima, meta di cene, anche con i signori Bisazza, per le grandi capacità culinarie di sua moglie Pierina! Angelo era uomo integerrimo, tanto da denunciare dei traffici poco chiari nella costruzione dello stabilimento. Dapprima tanti complimenti e ringraziamenti, poi tutto come al solito, in una bolla di sapone e non aggiungo altro se non che, nessuna delle persone finora nominate c’entra con questo episodio! Era noto che, Angelin del Maestro, questo era il suo nome in altopiano, durante la pausa pranzo e l’ho visto personalmente, raddrizzasse i chiodi dei bancali rotti per poterli riutilizzare, uomini di altri tempi e di altri valori! Tra i collaboratori un ruolo importante spettava a Enrico, pupillo di Angelo come lo ero io per Silvio, le nuove generazioni che avanzavano. Enrico sicuramente molto più sgamato di me e per niente timoroso. Conserviamo ancora una buona amicizia, basta non parlare di politica!

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Dall’altra parte della fabbrica c’era l’antro dell’inferno: il reparto espanso. A fianco del reparto confezionamento, attraverso il magazzino espanso, si entrava nel reparto di Lino. Lui aveva costruito quelle macchine infernali per costruire i fondi delle scatole in espanso dei trenini. Caldo, vapore, macchine che sbuffavano, stampi che si chiudevano e riaprivano vomitando parallelepipedi bianchi con nicchie che avrebbero accolto vagoni, locomotori e binari, questo era ciò che si presentava ai miei occhi. Lino, era fratello del testimone di nozze dei miei e nonché, mi sembra,  mio padrino di battesimo. Era originario dello stesso rione di Vicenza di mio padre e pertanto non ebbi difficoltà a instaurare il rapporto con lui. Credo che anche lì fossimo agli albori di questa nuova tecnologia e che in parte fosse stata sviluppata alla Lima. Praticamente, attraverso l’inserimento in macchina di polistirolo in granuli, con l’aggiunta di polvere espandente (non chiedetemi il composto chimico ma, dentro i sacchi di prodotto stampato l’odore di ammoniaca era evidente), riscaldando fino ad una certa temperatura vicina alla fusione, si ottenevano quei pallini tipici del polistirolo espanso che, rimanendo compressi all’interno dello stampo, rimanevano incollati l’uno all’altro costruendo le scatole o altri oggetti leggerissimi. Il bello veniva quando uscivi dalla porta che dava verso la campagna; una piscina piena di acqua fumante fino a creare nebbia in Valpadana nei mesi invernali, la vasca olimpionica di raffreddamento!

Poi c’erano i battitori liberi, addetti alla manutenzione e all’officina come Gennaro, o costruttori di plastici e realizzatori di fantasie onirico/ferroviarie come Francesco. Gente che con le mani sapevano far tutto, io solo a battere sulle tastiere!

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A Isola Vicentina, dovete sapere, che per uno di città doc come me, la cosa più difficile era capire quando ti parlavano. Anch’io parlo normalmente in dialetto veneto, ma la cadenza è completamente diversa. A Isola hanno una cantilena , tipica del nord vicentino, che riesce a trasformare una frase affermativa in una interrogativa! Da qui si aggiungevano altri imbarazzi di ragazzo imbranato con le donne quando qualcuna ti rivolgeva la parola!

Comunque io ci scherzo sopra, ma quante amicizie a Isola Vicentina e quante mangiate alla trattoria Belvedere a fianco, credo che all’epoca si spendesse qualche 500 lire o giù di lì per un pasto. E poi Alla Pesa a giocare biliardo fino all’1,30. Una volta avevo Ezio al mio fianco in auto e non aveva chiuso bene la portiera della mia 850, facendo la curva, se non lo prendo per la giacca mi finisce in mezzo alla strada, altri tempi, altre portiere, nessuna cintura!

Il bello di andare a Isola Vicentina era anche poter usufruire delle auto di servizio, non c’erano ancora gli autovelox, e poi eri sempre una macchina della Lima! Le nuove 127, una 1050 potentissima, fischiava le ruote in accelerazione che era un piacere. Anche la 903cc non era male. Ti andava male se dovevi prendere su il carrettone della Opel rekord diesel, che a malapena riusciva in autostrada a raggiungere i 120 ma lanciata, tanto lanciata!! Però riuscivo a far fischiare le ruote anche a quella, il massimo era se, per mancanza di altri mezzi o perchè dovevi trasportare qualche ospite, potevi prendere la 132. Che macchina , che ripresa!!! Ovvio le auto dei Bisazza erano ben altra cosa! Anche una delle prime Audi Quattro da rally, bianca con i cerchi disegnati sulla fiancata, una volta ho guidato anche quella, ma avevo il boss a fianco, niente sgommate!! L’auto alla quale il Presidente rimase sempre affezionato fu la FIAT 130 berlina che rimpianse lui e anche la signora Fanny quando passarono alla Mercedes 450, non c’era confronto!

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Le macchine la mia passione, ma non quelle con 4 ruote!! Le macchine calcolatrici. Quando sono entrato in Lima, all’ufficio amministrazione, c’erano ancora le Divisumma della Olivetti, macchine da 20 kg, dove dovevi impostare le cifre un tasto alla volta, non potevi in contemporanea o meglio, con qualche centesimo di secondo di differenza, premere due tasti, il meccanismo non te l’avrebbe permesso! Pertanto fare le somme, delle varie quadrature IVA, era lungo e noioso e soprattutto non musicale!! E sì perché con l’avvento delle nuove Logos, prima quelle a parallelepipedo, per arrivare a quelle tetragonali spaziali tipo Logos 75, la musica cambia!! Con le Logos a parallelepipedo eravamo agli albori del calcolo musicale, per dire veniva daddio un Smoke on the water, ma non potevi andar oltre, non eravamo ancora al massimo. Con il mio passaggio alle nuove mansioni, i capi avevano capito questa mia attitudine alla velocità sui tasti senza guardare e durante i meeting con gli agenti stranieri per la creazione delle nuove collezioni, il mio compito era il calcolo dei prezzi delle composizioni dei convogli che si creavano. E lì andava in scena il mio show, tra l’ammirazione degli astanti per questo ragazzino che batteva tasti senza guardare e senza errori. Evvai con Speedy king, Child in time (assolo di chitarra)…. 120 bpm!! Deep purple a manetta!!! Non ebbi la gioia, se non quella di toccarla, di avere come mia compagna di lavoro la Divisumma 18, prima calcolatrice portatile scrivente, con tasti in gomma, esposta al MOMA di New York, un vero gioiello in tutti i sensi, era troppo costosa per il ragazzino. Ed infatti solo Paolo Bisazza la possedeva, ma ebbe vita breve nelle manone di Paolo. Durante una riunione a cui partecipavo, Paolo si incazzò così tanto (non con me ma, la paura del momento c’era) che scaraventò la povera malcapitata sul tavolo, che con un rantolo, durato qualche secondo, spirò, non prima di aver dimostrato la sua robustezza, creando uno squarcio, da cima a fondo, sul vetro del tavolo riunioni da 20 persone! Povera, come vedete la ricordo meglio di tanti umani, soprattutto per non averle dedicato tanta musica dalle mie dita!!

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A causa o per merito del mio lavoro, avevo contatti con quasi tutti gli uffici e reparti della Lima. Essere quello che lanciava la produzione guardando i fabbisogni, gli ordini, le scorte presenti, mi metteva in contatto con i reparti produttivi e i reparti commerciali, il CED per le elaborazioni dei dati, uffici tecnici per le novità da programmare e inserire. Tabulati interminabili di referenze, dalle confezioni dei treni, alle varie parti scomposte dalla distinta base, fino ai semilavorati e alle materie prime, venivano quindicinalmente analizzate e ragionate, confrontate con i responsabili degli uffici. Poi redigevo la mia nota di lancio, la passavo al CED che esplodeva tutti i componenti in modo che, chi di competenza, controllate le giacenze e gli ordini già in corso, potesse emettere i vari ordini ai fornitori. Era un lavoro in continuo sviluppo e affinamento grazie ai calcolatori sempre più sofisticati che il mercato metteva a disposizione e alla abilità di programmatore di Walter. Con Walter collaboravo alla analisi dei vari processi e delle varie esigenze dei vari reparti e uffici in modo da implementare sempre nuove funzionalità che potessero essere utili ad aumentare il controllo e a facilitare il lavoro.  Si cominciava a capire che il cuore pulsante di un’azienda sarebbe divenuto il CED. Cominciavano ad arrivare i primi terminali e i lavori di input venivano svolti direttamente dalla scrivania dell’ufficio e non più trasmessi cartacei alle perforatrici al CED. Era l’inizio di una rivoluzione ma, l’inizio anche di altri problemi, una massa di dati che non tutti capivano e il personale cominciava ad essere troppo e poco impegnato!

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Nell’ufficio commerciale Italia, dopo che la bella Edy se ne andò, tutto cambiò, diventò l’ufficio più triste della Lima, nel senso che nessuno andava dentro a fare battute o quattro chiacchiere. Non che mancassero le belle donne, al contrario, ne sfilavano continuamente di nuove e bellissime. Ma non erano “delle nostre”, troppo raffinate, troppo “alte”. L’unico maschio dell’ufficio, Giuseppe, schivo e riservato, percorreva una continua involuzione verso l’impotenza di fronte allo strapotere, esercitato verso le alte sfere, da queste donne ( capisci ammè). Uno dei motivi di contatto con questo ufficio era la realizzazione del listino prezzi Italia al pubblico. I primi anni portavo i costi e dovevo attendere sempre fino all’ultimo minuto, prima di andare in stampa, per avere indietro il listino con i prezzi fissati dal direttore. Negli anni successivi, vista l’esperienza, preparavo io direttamente il listino, lo sottoponevo con una leccata all’orgoglio direzionale dicendo, mi sono permesso di facilitarle il compito, può controllare? Dopo un attento esame, di un paio di secondi, per le migliaia di referenze, il direttore asseriva: no questo prezzo è quello di ingresso dei vagoni, lo riduciamo di 50 lire. Ci vuole esperienza e competenza su queste cose Paolino! Poi poteva tranquillamente ritornare a leggere Penthouse!

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Dove si andava volentieri era l’Ufficio estero, condotto con la sensibilità umana che ne contraddistingue la vita, da Milvia. Lì si lavorava tanto ma, sereni. Era luogo dove potevi crescere professionalmente e anche umanamente e i colleghi di lavoro erano quelli che a livello amicizia davano di più! Milvia ritornò in Lima che io ero già arrivato, aveva già fatto altri anni prima. Ritornò praticamente a legarsi indissolubilmente con il marchio, anche con i lavori futuri dopo la fine della Lima. Tanti i ricordi di persone: Corrado, mezzo parente dei Bisazza, romano. Viveva praticamente in un seminterrato vicino alla Lima, cordiale come tutti i romani ma, stressato come tutti i romani, soprattutto dal contatto diretto con Paolo. Un giorno per una incazzatura si diede tanti di quei pugni su di un ginocchio che per giorni non riuscì a camminare, erano i tempi di Arancia Meccanica, io sarei stato più attento a farlo incazzare!! Gianfranco dalla Sardegna, sornione, sempre col sorriso sotto i baffi di chi ne sta combinando una! Giovanni, nel posto dove nessuno avrebbe mai voluto essere. Segretario , anche se il termine non è esatto, di Paolo, per i cavalli, le barche, le macchine fotografiche, i fucili. Arrivava a dover scandagliare a fondo le guide alpinistiche Touring/Cai del Berti per dare i nomi ai cavalli che nascevano. La lettera designava l’anno di nascita. Ricordo un anno che toccava alla lettera S e la scelta, per quella femmina baia, cadde su Somadida, sotto il Corno del Doge, bosco dove io andavo molto spesso nelle vacanze estive. Il sorriso di Ercoliano con la sua parlata veneziana che però ci ha lasciato troppo, troppo presto, lasciando un vuoto in tutti noi, la malattia se l’è portato via a poco più di 30 anni. Era impossibile non ridere con lui, già il dialetto veneziano è impostato sulla presa in giro, lui poi…...ciao! E le donne, Licia, amica già da scuola, precisa collaboratrice di Milvia che la volle con sè anche quando Lima terminò di esistere e questo la dice tutta. Licia donna libertaria, come si confaceva per quegli anni 70 di rivoluzione femminile! L'esotica Vania, somala, figlia di un italiano in Somalia e della sorella del re di Somalia, così almeno raccontava, controllata a vista dalla mia futura moglie, capisci amme'. Francesca, timida e riservata ma impossibile non notarla! Giovanna, anche lei sempre pronta a colpire con le sue frecciatine. Lorena dalla quale era impossibile togliere il sorriso e la voglia di vivere! Il giovane Donato detto Ciccio el slinguazzon, più sgamato di tanti altri, ma un gusto stare e ironizzare assieme a lui. Annalisa, avrebbe potuto essere una capace manager amministrativa colma di simpatia. Mi ricordo che quando ci fu il terremoto del Friuli, lei non chiudeva più la porta del bagno...io la aprii! Poi anche qualche superf.. mezza parente dei Bisazza ma il livello di conversazione massimo a cui potevi aspirare era: “ cosa ne pensi della moda del giallo di quest’anno?”

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Anche a me toccò fare il Giovanni di turno. Ero impegnato in un lavoro (di cui parlerò più avanti) in Austria e una volta, Paolo mi mandò a deviare fino a Vienna per procurargli un supercannochiale per la  caccia. Arrivai in un centro commerciale con centinaia di negozi e andai a presentare le mie credenziali in un negozio di armeria. Mi fu consegnato il binocolo con la prova di alcuni bersagli colpiti da 400 metri. Non vi dico la strizza per ritornare a casa e dover passare la frontiera, non c’era ancora la libera circolazione delle merci, non avevo alcun documento di trasporto, in più avevo uno strumento di altissima precisione che mi sa che di caccia aveva poco, ed erano anni di terrorismo! Ce la feci. In carrozza letto, per fortuna, non venivano neanche a chiederti i documenti, li consegnavi al capotreno, chiudevi la tua cabina, e solitamente problemi non ce n’erano.

Ricordo anche il mio primo viaggio in aereo, sempre per Vienna, con a fianco Paolo. Chiaramente la paura c’era, e Paolo la vide. Lui si fece il segno della croce quando l’aereo si mise a rullare e mi chiese: “ma tu non fai il segno della croce, non credi?” io risposi:” Non credo sia il caso di chiamare in causa Nostro Signore per queste piccole paure umane” e lui: “vedi io vado a Messa tutte le domeniche alle 6 di mattina e ti assicuro che quando sono lì in chiesa mi sento uguale agli altri”, quando si dice avere una buona autostima!

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Le riunioni con i rappresentanti esteri erano assieme alle Fiere uno dei clou della stagione. Li si definivano le nuove confezioni di trenini da mettere sul mercato l’anno successivo, le novità da fare per gli anni a venire. Arrivavano da tutto il mondo: Brehm dalla Germania, Reist dalla Svizzera, De Vries dall’Olanda, Peter e David (soprannominato in ufficio Cicciobello) dalla Gran Bretagna,  Auro’ Ferrer dalla Spagna, Bertin in Francia, Benoidt in Belgio, Feldman dal Sud Africa e tanti altri che non ricordo. Quel poco di Inglese e francese scolastico che masticavo, li ho un po’ curati con quelle riunioni, tanto da permettermi adesso, di girare in vari paesi senza morir di fame o non trovare un posto in albergo. Dello spagnolo, così simile al veneto , le cose che avevo imparato fondamentalmente erano solo due: non fare le nuove confezioni e dire la loco la metto qui, in spagnolo loco ha un altro significato e finchè mangi non chiedere allo spagnolo: passami il burro, anche questo ha un altro significato, per il resto parla in dialetto che va bene! Come vi dicevo nella presentazione della Lima di Vicenza, c’era la grande scala a chiocciola in marmo rosso, con le ammoniti, che conduceva agli uffici ma, anche al secondo piano. Lì c’era il paradiso per voi Limaioli, la sala con l’esposizione di tutti i modelli Lima e un tavolo enorme che la percorreva per far sedere gli ospiti! Sulle pareti un armadio a vetri con sopra tutti i locomotori, i vagoni, i binari e accessori in forma sfusa, ma in ordine di codice per paese, in modo da essere sempre pronti da prendere. Sull’espositore anche le scatole della collezione dell’anno in corso, esposte per tipologia di prezzo e grandezza. Se ne prendeva in esame una per volta e si operavano i cambiamenti di loco e vagoni prendendoli dall’esposizione. Qui intervenivo io che dovevo, a suon di musica, fare il calcolo del costo della composizione, aumentarlo delle spese generali e ricarichi vari e sparare il prezzo. A seguire porchi e altre ingiurie da parte degli astanti nelle linguemadri, dicendo che avevo sbagliato , impossibile. Tua nonna, il calcolo è giusto , l’ho fatto io. E anche Paolo sorrideva sapendo che i calcoli erano giusti. E allora togli, metti, cava, briga fino a raggiungere la meta del prezzo agognato! A fine giornata vi lascio immaginare il casino su quel tavolo e soprattutto dover mettere tutto apposto!! Da lì si passavano le schede con le composizioni, a Marino per preparare i cataloghi e scatole, a Lino per preparare gli stampi per i fondi in polistirolo e io preparavo tutte le distinte base e i listini da inserire nel CED. Il maestro di cerimonia era Giuseppe, che come dicevo svolgeva il compito di trait-d’union tra il commerciale e il tecnico. A lui si rivolgevano i rappresentati per soluzioni tecniche da prospettare a Paolo e arrivare a risolvere problemi e guai.

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A causa di quelle riunioni, una volta presi una strigliata da Paolo, ma non perchè avessi sbagliato qualcosa, no no! Il motivo era il mio vestire. Anni 70, anche se non ero un ribelle, ma cavoli un po’ di vent'anni dovevo pur viverli o no? Andavano di moda le magliette con le bandiere delle nazioni. Ricordo che ne avevo una con la bandiera della Corea con la palla in mezzo con lo Yin e lo Yang, bellissima. Ma così non doveva pensarla Paolo. Mi presentai ad una delle riunioni degli agenti con la mia bellissima maglietta, nessuno disse nulla ma, il giorno dopo Paolo mi convocò nel suo ufficio e mi minacciò di più seri provvedimenti ( mi sembrava gli scappasse da ridere finchè lo diceva) se non vestivo comediocomanda. All’uopo mi regalò una sua cravatta che conservo ancora gelosamente, in mezzo al centinaio di cravatte che ho, di Gucci con ferri di cavallo su campo marrone. Quella l’ho usata poco ma, da allora, ho sempre usato la cravatta anche d’estate. Mi ero convinto, anche negli anni successivi a Lima, che il rappresentare un’azienda richiedesse anche una certa forma, semplice e sobria, con qualche tua particolarità, senza essere un pinguino, tutti uguali, come adesso, che seguono la moda  e sembrano tanti pentecostali in missione o peggio ancora, tanti piccoli Fabrizio Corona!! Adesso sono pensionato, tante magliette che non si stirano e le cravatte sono in armadio!

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Ed ecco Paolo che, come ogni mattina, a parte i venerdì 13, arriva da Venezia Ca’ Noghera, dove adesso c’è il Casinò vicino all’aeroporto. Sono le 8,20 e lui arriva, nebbia o pioggia, quello era il suo orario. Tabarro di loden a ruota, con  cappello a tese larghe, passo pesante, da paron, sigaretta accesa, in bianco e nero sarebbe potuto essere la pubblicità del Sandeman. Tutta Lima in subbuglio, terminano le chiacchiere mattutine sulla sera prima, terminano i primi caffè. Apre la porta che dà sulle scale e grida: “Cisco vien da mi”,  la vittima sacrificale. Giovanni la persona più calma e buona dell’universo, il nostro bomber a calcio! Lì, con Paolo, doveva sempre giocare in difesa. Alla mattina riceveva gli ordini di quello che la mente vulcanica di Paolo aveva pensato alla notte. Solitamente erano cose personali, come agende da compilare, seguire i cavalli, i fucili, le barche, le macchine fotografiche per i safari e i viaggi. Rimpinzato Giovanni di lavori si partiva con la giornata di lavoro effettivo. La seconda era Milvia che però sapeva farci con Paolo e non dimostrava mai soggezione, brava cavoli! Qualche riunione tecnica e di indirizzo aziendale, Paolo era il successore in-pectore dell’ing. padre. Però quando arrivava il padre, nonostante l’età avanzata, il pugno della situazione l’aveva in mano lui, e gli scontri non mancavano. Dovete sapere che gli uffici furono ulteriormente allargati con la costruzione di una nuova ala sospesa sul cortile a sinistra del lungo corridoio. Tre uffici nuovi per i tre Paoli: Paolo Bisazza, Paolo Conchetto direttore amministrativo, e Paolino vostro eroe!! Pertanto lascio la compagnia di Silvio, Marino, Enrico, e Giuseppe per trasferirmi in un ufficio grande tutto per me! La mia scrivania, i miei armadi, la mia postazione personale con terminale, per un ragazzino di 22 anni niente male, non credete? E partecipavo praticamente a tutte le riunioni decisionali, anche quella del 1983 che mi fece decidere di uscire dalla Lima, preciso nessun dramma, nessun licenziamento, una scelta personale per salvare altri! Ma ve lo racconterò più avanti! Con Paolo, posso dire di non avere mai avuto scontri anzi, spesso ricevevo il suo più gran complimento a cui uno di noi potesse ambire, non lo traduco perdonatemi: " Seto che te si manco testa da casso de quello che te pari!" . Paolo ha popolato per molti anni, prima e anche dopo la mia uscita da Lima, i miei sogni notturni, e ogni tanto ricompare. Se è vero che le persone non muoiono fintantoché rimangono nei pensieri e nei sogni degli altri, Paolo è ancora vivo.

 

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Delle riunioni con gli agenti dei vari paesi abbiamo già parlato. Quelle interessanti erano quelle della Direzione. Durante una di queste riunioni, con il Presidente a capo, dove  la discussione verteva su costi e altri calcoli complessi, a un certo punto qualcuno degli astanti fa una affermazione che in linea logica era la prima che poteva venire a mente, ma a me non suonava bene matematicamente. Riflettei se dirlo o no, ma ormai mi conoscete , non riesco star zitto. E’ sbagliato! Asserii. Un turbinio di improperi e cosa cavolo (per non usare altre parole)  dici (ragazzino sottointeso). Avevo tutti contro, Presidente compreso. L’unico che non parlava il mite Dante, che però mi rivolgeva uno sguardo implorante come dirmi, ma cosa cazzo combini (qui ci stava)!! E io niente insistevo nonostante i tentativi di farmi abiurare! Però da lì a poco notai che dalla ressa si era ritratto Penna Bianca (il nome in codice del Presidente), non parlava più, lasciava che gli altri gridassero e inveissero. Tutto di un tratto battè la mano con tutta la forza che aveva per la sua età. “ Bastaaaa! El ga raxon - Basta ha ragione!!” Tutti ammutolirono, il Presidente mi fece parlare e spiegare le mie ragioni. Tutti accondiscero che era vero, ma non so se perchè avevano capito o perchè lo aveva detto il Presidente! Da quella volta, il Presidente, ogni volta che veniva in Lima, in mezzo ai suoi impegni, mi chiamava nel suo ufficio per sapere come andava, se avevo qualcosa da riferirgli (sui figli). Un episodio che porto nel cuore per la saggezza del Grande Vecchio, che sapeva abbandonare la sua indubbia sanguignità per ragionare anche se era solo un ragazzino a parlare!

 

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E visto che siamo amici e una grande famiglia, perchè non organizziamo qualche gita in montagna? Bravo Paolino, proponi organizza che la Lima farà il suo dovere! Ed ecco nascere il MAVI - Montanari Autonomi Vicentini e Isolani. Prima gita sulle montagne più vicine: il Carega, 2.250 metri ma dal Vallon di Pissavacca che parte da 1000 metri, 4 ore di salita dove le vecchie vaporiere dei miei colleghi sbuffavano a più non posso, e io organizzatore dovevo fare da scopa e tirar su fino in cima chi non ce la faceva più. Tutti arci soddisfatti con calata di corsa giù per il ghiaione di Boale dei Fondi. L’infermeria al lunedi era piena quasi come dopo una coppa Cobram, il peggio toccò a Casara Antonio, 40 giorni per broncopolmonite. Aveva fatto il figo lui a petto nudo sul Carega! Seguirono la gita al Mulaz, questa in corriera strapiena sponsorizzata Lima, io attrezzato musico con chitarra per l’intrattenimento in corriera. Poi le gite di due giorni, quella del giro del Civetta dove abbiamo dormito, si fa per dire, al rifugio Vazzoler. La gita alla croda da Lago con pernottamento al Lago da Lago, ricordo una nottata con stellata incredibile distesi sulle pietre a picco sul lago! Ed infine quella alle tre Cime di Lavaredo con auto proprie in quanto i cordoni della borsa Lima si erano fatti più stretti. Naturalmente l’organizzatore con chi doveva montare, con il più alto in carica,  e al posto della suocera. Rag. Paolo Conchetto, grandissima persona in tutti i sensi, bancario chiamato a sostituire il compianto dott. Poggi, tanti pregi ma aveva un difetto: era veneziano e come sappiamo i veneziani sono bravissimi sull’acqua ma sulla terraferma o asfalto...lasciamo perdere. Aveva già avuto qualche incidente, un rosso mancato, una tamponata subita in autostrada con l’Audi nuova finchè andavamo a Jesolo a casa del Presidente, colpo di frusta per lui , Dante e me, insomma provate a pensare come mi sentivo!! E chiacchiera, chiacchiera e sui tornanti che salivano da Vittorio Veneto a Belluno, lui bello bello mi fa un sorpasso in tornante di un camion. Gli amici nelle macchine dietro se la sono fatta sotto dalle risate, io senza risate!!! Arrivammo al rifugio Auronzo, dopo aver fatto qualche furbata al casello della strada a pagamento che sale al rifugio Auronzo. I passeggeri scesero, con appuntamento a malga Rin Bianco, il risparmio fu notevole! La salita alle 3 Cime è impegnativa anche per le auto che si sentivano chiaramente imprecare  con la prima marcia inserita sui tornanti finali, e un'occhio sempre all' indicatore della temperatura dell'acqua. Il sentiero era semplice, praticamente in piano fino al rifugio Lavaredo e poi su alla forcella Lavaredo, per me il posto più bello al mondo. Da lassù lo sguardo spazia su una immensità di montagne che nelle giornate limpide non terminano se non nel dissolversi nel blù del cielo. Qualcuno prende il sentiero che taglia alto sotto il Paterno, chi come me prende il sentiero normale basso. La sosta al Rifugio Locatelli e poi via ritorno verso le Tre Cime con il piatto ricco della giornata: il passaggio, fuori sentiero, a toccare la base delle pareti delle 3 Cime, vedere da sotto le vertiginose scogliere di quel mare scomparso milioni di anni fa. Con in testa gli alpini del gruppo, che facevano a gara per chi fosse arrivato primo e sicuramente non hanno visto nulla, guadagnamo nuovamente la forcella e ci dirigiamo a destra sulla traccia di sentiero che tocca le pareti. La vista dal basso verso le cime, sono interrotte dai tetti sulla via di arrampicata, dove gli scalatori devono usare le loro tecniche artificiali rimanendo penzoloni nel vuoto per centinaia di metri. Che fosse un mare non c'erano più dubbi, le conchiglie erano sulle pareti qualcuna ancora intatta, altre già prelevata da studiosi o da collezionisti, peraltro già allora ne era vietata la asportazione. Io marciavo assieme a Bepi, ma ad un certo punto udimmo un rumore come di aereo in picchiata. Tentammo di vedere da dove stesse arrivando quell'aereo. Un pazzo che vuole passare in mezzo alla forcella tra cima Grande e cima Ovest? Un tonfo a pochi passi da noi. Ci rendiamo conto che si trattava si una pietra, di una scaglia , che era scesa ad elica dalla sommità, schiantandosi sul ghiaione a pochi passi da noi. Per fortuna c'era il tetto che l'ha fatta precipitare qualche metro più in là. Non avevamo il caschetto, ma penso sarebbe servito ben a poco con una pietra di qualche chilo caduta da 500 metri  sopra. Ora credo non sia più possibile compiere questa escursione o perlomeno io non mi fiderei più a farla! Io avevo guadagnato qualche posizione un po' più avanzata rispetto la coda della compagnia a causa di forza maggiore. Infatti, quello davanti a me aveva mangiato qualcosa che non gli aveva fatto tanto bene, lo ritenni una cortesia il sorpasso, così avrebbe potuto prodursi in performance senza preoccuparsi delle persone dietro a lui, e poi in montagna c'è tanta aria buona. E per il rumore? Un bel coro di montagna!!!! Conservo gelosamente il libro di montagna che il MAVI mi regalò alla mia uscita da Lima. “Dolomiti di Sesto”.

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Una fonte per le cene aziendali erano i fornitori, tanti ma, pochi pagavano cene per tanti, molto probabilmente, tanti pagavano cene per pochi! Le aziende che organizzavano le cene più spassose erano la Cartondul e allora lì andavo come rappresentante di Isola Vicentina ma, le migliori in assoluto, erano quelle organizzate dalle Grafiche Capretta di Valdobbiadene, e già a nominare il paese si può ben capire il perché. Questo valeva per tutti ma non per me che sono astemio ergo, io guidavo! Con la mia Giulia super 1300 a gas, l’andatura era sicuramente tranquilla e la musica di Demetrio Stratos all’andata provocò una rivolta tra i trogloditi di colleghi ma, al ritorno nessuno si accorse della musica e potei ascoltare in tutta tranquillità. Capretta non ci portava in trattoriette ma nei migliori ristoranti del Veneto, Gorgo al Monticano, Pellestrina, Valdobbiadene e a volte anche con le mogli, chi avesse voluto portarle! Questo per dire che i fornitori erano una forza della Lima e soprattutto i lavoranti esterni. Se Lima aveva circa 500 dipendenti, l’indotto era sicuramente molto più grande. I lavoranti esterni che, se non ricordo male, arrivavano ad una ventina, avevano, come in alcuni casi, anche un centinaio di dipendenti nei mesi di punta. Ma poi con i lavoranti esterni, c’era il fenomeno degli sportivi. No, non quelli per i quali aveva creato la maglietta arancione Silvio, no, gli sportivi erano quelli che, in determinate ore, arrivavano dai fornitori con “le sporte”, vale a dire con le borse pieni di trenini montati e andavano via con quelli da montare. “La sportività” era un fenomeno molto diffuso in quegli anni in tutti i settori dove occorreva manualità  e servivano ad abbattere i costi e ad incrementare gli utili soprattutto dei lavoranti esterni, vedi villette a pioggia e cementificazione diffusa del Veneto! Lima si serviva della lavorazione esterna soprattutto per gli articoli di bassa gamma come il Crick, dove era quasi irrilevante la componente professionalità per il montaggio e realizzazione.

 

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Un fattorino come Ippino Guerrino nessuna ditta poteva permetterselo. Questo uomo, non tanto alto, mimica facciale incredibile che, non lasciava mai trasparire un sorriso, occhio un po’ deviato che però, contribuiva a dare allo sguardo un punto interrogativo, come quando il tuo cane ti guarda dal basso in alto con la testa piegata e le orecchie appena sollevate. Si ma lui era impeccabile nella sua divisa grigia scura e cappello: Guerrino , perfetto fattorino. Lui usciva alla mattina per andare in posta e nelle banche per prelevare lettere e pacchi e portarne altri, il tutto con la sua 500 giardinetta color crema. Ecco, la sua velocità era tale che, una volta il mitico vigile di Vicenza Dante, lo fermò finchè transitava in un punto nodale del traffico di Vicenza! Non si doveva circolare a quel modo!! Multa per intralcio al traffico! Guerrino non sfrecciava di sicuro e a lui non di certo gli avrebbero mai affidato l’Audi Quattro da guidare , neanche la 127! Però era preciso, sicuro, affidabile come pochi altri. Il suo sguardo si “disturbava” quando Gianna lo mandava a prendere, al PAM in centro a Vicenza, gli gnocchi alla romana. Era sicuramente una gran rottura ma, non ho mai capito se si disturbasse per il fatto che non era cosa di lavoro e a lei non poteva dire no oppure, perché avrebbe fatto fatica circolare in centro e soprattutto parcheggiare!

Gli altri autisti non erano certamente come Guerrino, quelli con le macchine ci sapevano fare ma, qualcuno non era così ligio e professionale come lui. Qualcuno durante le fiere era riuscito anche a farsi spedire a casa perchè, “qualcuna”, gli aveva portato via tutto. Monito per tutti gli altri che poi sarebbero andati in fiera!

Avete mai visto in giro per l’Italia o l’Europa un camion rosso con la scritta Lima? E sì, ad un certo punto della storia Lima comperò un camion per compiere i trasporti e poter risparmiare (credevano). Non sempre si riusciva ad ottimizzare i trasporti e i tempi morti erano elevati. A volte il camion aspettava, fino a notte fonda, l’ultima scatola uscita dalla produzione, per poi partire. Oppure i primi quantitativi di una novità che il giorno dopo doveva arrivare ai negozi!

Ricordo una volta che il nostro autista Tranquillo, causa una chiusura di qualche passo o qualche sciopero con conseguente blocco stradale, passò su di un passo alpino nel quale non ricordo neanche se fosse permesso il transito alle auto, ma sicuramente agli autoarticolati no. Con una infinità di manovre e contromanovre, con mezzo cassone fuori sul bilico del burrone, riuscì nell’impresa e consegnare la merce in tempo! Quante avventure per questi trenini!

 

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E arrivava febbraio, mese di Fiere. Milano , Norimberga in successione. Chiudeva una e subito apriva l’altra. Chi smontava una fiera e doveva montare l’altra doveva letteralmente fare i salti mortali. Gli stand della Lima erano sicuramente tra i più belli e grandi delle fiere e sicuramente il più affollato durante il pranzo. Sì perchè Lima aveva sempre il bar, con praticamente un mini ristorante, dove tutti arrivavano dalle 12 alle 14. Spuntini, tartine, paninetti, pasta calda e fredda, bocconcini vari. Un modo per fare anche affari? La speranza era quella. Gli imbucati comunque non mancavano anche di altre ditte, che chissà perchè a quell’ora facevano un giro per “vedere la collezione”, farsi riconoscere e farsi invitare, l’ospitalità non mancava in Lima! Io andavo di rado in Fiera, non avevo un ruolo da fiera. Però poteva succedere che qualcosa di pronto all’ultimo minuto, un catalogo, un listino o una novità, necessitasse di essere portata di fretta in fiera, allora Paolino partiva. Capitò anche che, qualche cliente speciale venisse in fiera per creare delle confezioni e di conseguenza occorreva chi facesse prezzi e referenze, e così veniva programmata anche la mia presenza di qualche giorno. Così andai in fiera a Milano per alcuni giorni e anche in fiera a Norimberga. Bello l’hotel dove alloggiavo, la Lima ti trattava bene ma, chiaramente non era lo stesso dove alloggiavano i boss, quelli erano super lusso e lontani da occhi indiscreti, i nostri! Quell’anno Lima fece un ricevimento fantastico al Biffi di Milano, personalità e personaggi oltre ad agenti e clienti importanti. Noi eravamo ovviamente di corollario e di servizio perchè tutto si svolgesse al meglio, omaggi compresi. Ma anche per noi esistevano momenti di divertimento; alcune sere erano libere e allora chi dovevamo seguire per divertirci al meglio? Ma lo spagnolo naturalmente! Josè Aurò Ferrer, lui si che si sapeva divertire, anche se non nei modi a cui io ero abituato, comunque era un modo per stare tutti in compagnia e ridere. Tappa d’obbligo il night Smeraldo, dove la parola più pronunciata da Aurò era “Mira, mira , mira!!!!” con tanti punti esclamativi. Con Aurò non si spendeva mai nulla, anche se non credo costasse molto la mia Coca Cola. Mitico il racconto delle sue notti in Cina e sulle sue certezze sul fatto che le donne orientali preferiscono gli occidentali agli indigeni. Era praticamente il rito di iniziazione di Milano!

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Mentre i riti di iniziazione di Norimberga erano ben diversi! E si la fredda Norimberga e il Victoria Hotel dove qualche mio collega non capiva il funzionamento del piumino (che da noi non si usava) e delle finestre alla tedesca. Per lui era troppo corto perchè non riusciva a stare dentro con i piedi (lo lasciava piegato e non lo apriva) “e le finestre come cavolo si chiudono? Stanotte mi è nevicato sui piedi, ho avuto un freddo della madonna!” Ed era uno che non beveva! Appunto i riti di iniziazione di Norimberga erano diversi. C’era quello che ti faceva Paolo ed era andare a mangiare la Karfen (la carpa), che al ristorante veniva presa dalla vasca al momento, grassa!! Io non mangiavo pesce allora e per pura fortuna mi sono evitato l’iniziazione, altro che neve sui piedi! L’altra era quella che ti riservavano i colleghi: “Stasera andiamo a mangiare all’Opatia, ristorante yugoslavo”. Era tutto buono ma il clou, per il malcapitato di turno arrivava con la carne! Ed ecco là i maledetti! I peperoni sottaceto. Quell’anno venne Roberto, tipografo che aveva portato dei listini all’ultimo momento essendo stato in ritardo, diciamo così, tutti ambivano a farsi qualche giorno in fiera e a Norimberga c’erano di quelle viuzze con molte attrattive, in codice denominate “giostre”, così mi raccontavano e non ho appurato. Ecco là il malcapitato che mette in bocca i peperoni, una bomba atomica in bocca, e no non puoi sputare, mangia tutto che ci fai fare brutta figura! “Buoni, non sono neanche piccantissimi”, e giù un’altro con una birra. Ma lo si aspettava alla mattina all’uscita dall’albergo per andare in fiera e lo si guardava bene in faccia con mezzo sorriso che voleva dire “ e allora?”. Il più delle volte la risposta era con un movimento di mano con gli occhi sbarrati che stavano ad indicare che i bruciori peggiori erano stati alla mattina al risveglio!! Vi risparmio i particolari! A Norimberga ci giunsi in treno con un altro collega “esperto". Nella coincidenza prendemmo il treno all’incontrario! Fabbricanti di treni in miniatura!!!! La seconda volta andai da solo, molto meglio! Provai l’esperienza della precisione delle ferrovie tedesche! Mi lasciò sempre sconcertato il colore di Norimberga città. Abituato alle nostre pietre bianche, entrare in un mondo dove domina il grigio scuro mi metteva a disagio. Chissà se adesso che sono viaggiatore mi colpirebbe allo stesso modo.

Certo che vedere uno stand della Lima, sia a Milano che a Norimberga era uno spettacolo. Erano ancora i tempi che tutti competevano per avere lo stand migliore , il più luminoso, quello che richiamava più operatori del settore e non. Insomma avere lo stand sempre pieno e in questo Lima ci riusciva appieno!

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E’ Natale. E come tutti gli anni si prepara la festa per il discorso del Presidente in sala montaggio, sia a Vicenza che a Isola Vicentina. Il discorso era bene o male sempre lo stesso ed esordiva, con sottofondo del coro muto del Nabucco di tutti gli astanti che, conoscevano già a memoria i vari passaggi del discorso: “E anca sto anno, ben o male semo arrivà in fondo ( e anche quest’anno bene o male siamo arrivati alla fine). Abbiamo lavorato molto e siamo soddisfatti dei risultati ma c’è ancora molto da fare. Abbiamo comperato macchine nuove, (e il coro “ si quele de to fioli”)......... tanti tanti auguri. Seguivano le premiazioni di chi compiva 20 anni di servizio, ai quali era riservato un orologio, questa era una bella cosa! Come in tutte le fabbriche che si rispettino seguiva il brindisi e il panettone. Poi veniva consegnato il pacco che, ogni anno, lamentava la mancanza di qualche unità all’interno rispetto all’anno precedente. Sentivo racconti degli anziani che, favoleggiavano pacchi degli anni 60 mirabolanti, mai ricevuti, solo il primo anno aveva qualcosa di particolare a parte panettone, bottiglia, torrone. Chiaro, noi impiegati avevamo qualche vantaggio dal contatto con i fornitori in tema regali natalizi, erano accetti e praticamente una tradizione e sicuramente, per quanto riguarda il mio caso, non si configurava certo all’epoca un tentativo di corruzione, le bottiglie facevano contenti i miei per far vedere che sotto l’albero c’erano le bottiglie dei fornitori del figlio, un vanto!

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Il 1978 fu l’anno in cui rischiai di dovermi trasferire in Austria. La Lima in quegli anni era in procinto di acquisire una ditta di binari in Austria, mi sembra legata a Garnet. E qui mi scuso, mi sfuggono alla memoria i nomi di tante persone e anche come si chiamasse la ditta, mi sembra Ghemi, ma non ne sono sicuro,  dovrò sentire qualche altra memoria storica della Lima. Un giorno venni convocato nell’ufficio del rag. Conchetto e vi trovai anche il Presidente ing. Ottorino, che mi chiesero disponibilità per fare alcuni viaggi in Austria ed eventualmente recarmi anche a lavorare in Austria per condurre la fabbrica in acquisizione. Acconsentii. Il primo viaggio lo facemmo io e Bepi assieme a Paolo Bisazza.  Partimmo da Verona col treno letto di mezzanotte e si arrivammo a Wiener Neustadt alle 8 di mattina, io stanco , perchè in treno riuscivo a malapena ad appisolarmi, infatti Paolo mi aveva consigliato il suo metodo. Seduti tutti e tre nello scompartimento di Paolo, alla sera per le ultime raccomandazioni, lui in mutande ma con l’impermeabile addosso a mo' di vestaglia, mi consigliò la bottiglia di whisky che aveva in mano ma, io ero e sono astemio. Va ben lui ha dormito, io no. Con Paolo non era certo un modo di lavorare idilliaco, e tutti correvano anche gli austriaci, ben capendo che con Paolo c’era poco da scherzare. Il mio compito iniziale era quello di fare i calcoli aziendali e i costi di produzione e così cominciai ad esaminare i bilanci e il layout produttivo. Giuseppe invece doveva analizzare i processi produttivi e la qualità del prodotto. Dopo il primo viaggio, ne seguirono tanti altri in coppia con Giuseppe e da solo. 18 giugno 1978, mondiali di calcio, Italia contro Austria, e noi dove siamo? eh sì in Austria. Timorosi ci rifugiammo nel nostro hotel ma, al 14’ capirono subito che c’eravamo noi italiani in quell’hotel e soprattutto mi sa, che capirono che eravamo vicentini, gol di Paolo Rossi! Alla fine della partita, un operaio della fabbrica, italiano, prese la macchina e attraversò tutta Wiener Neustadt con bandiera italiana e il clacson a manetta! La rivincita dell’emigrato.

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I viaggi in Austria continuarono e chiaramente stabilii buoni rapporti di amicizia con i vari responsabili, Predl e altri. Le cose che più mi sono rimaste impresse sono stati gli stinchi di maiale e che in Austria sembrava quasi non esistesse l’acqua minerale ed ero costretto ad ordinare ein kleines Bier, che comportava la classica risposta del titolare della locanda “nur für Fräulein”. La birra non mi piace e mi fa girare la testa, però mi faceva dormire, quello sì. E poi, quella volta che Predl ci portò al Grenze, il vecchio confine, praticamente una baracchetta che vendeva prodotti tipici, lì, non era il peperoncino dell’Opatia, ma anche il salame di fegato ha dato del suo meglio per il mio palato delicato di allora. Una sera andammo anche a Vienna e mangiammo all’aperto con vista sulle torri di santo Stefano. Il ricordo di quel risotto allo champagne e ancora vivo ! Le cose sembravano che andassero tutte per il meglio, probabilmente avrei dovuto ripensare alle nozze dell’anno successivo o per lo meno organizzare la vita familiare. Ritornai alla Lima e praticamente stavo aspettando la convocazione e la data della mia partenza per Wiener Neustadt, e naturalmente non ultimo particolare, l’adeguamento retributivo. Venni convocato sempre in ufficio del rag Conchetto e vidi anche il Presidente. Mi venne comunicato che l’affare era saltato e che il mio trasferimento non ci sarebbe stato. Questo mancato affare non fu indolore per Lima, infatti per alcuni anni si dovette lo stesso sostenere l’azienda austriaca con considerevoli ordini, a costi superiori rispetto la produzione interna Lima, e non vorrei anche a livello finanziario siano stati compiuti sforzi per sostenerla. A mio avviso anche questo è stato un ulteriore tassello negativo nel puzzle della fine della Lima.

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Il lavoro che mi appagava di più era “fare i costi”. Lo chiamavamo così ma era molto di più, era sviscerare l’azienda, era fare una fotografia industriale attuale per proiettarla nel futuro. Il metodo era stato elaborato, penso dall’ing. Bisazza, sulla base del sistema in uso presso Marzotto. Praticamente era un bilancio consuntivo, sezionato in centri di costo e ancora più sotto, in singoli macchinari,  singole lavorazioni o altri passaggi produttivi, i vari centri di costo commerciali e amministrativi e del personale. Insomma da lì si partiva per costruire il budget per l’anno successivo e riformulare i costi dei vari passaggi, analizzando anche se, attuando dei cambiamenti o migliorie nei macchinari, si potessero ottenere dei vantaggi di tempi e costi. Chiaramente eravamo ancora nei tempi in cui il computer non faceva ancora tutto questo, e all’uopo si redigevano dei quadernoni, copiandone la traccia dall’anno precedente lasciando in bianco gli spazi da riempire con i dati consuntivi e preventivi. Sembrerà strano ma, 40 anni fa, non esisteva il copia incolla, Il computer era ancora il bestione che non faceva poi così tanto. Riusciva ad elaborare una distinta base e calcolare il costo di un pezzo di una fase di lavorazione, ma trovare il costo di quel passaggio, di quella macchina, di quell’operaio, di quel reparto, era compito allora arduo in quanto il computer non era elastico. Stavano spuntando i primi videoterminali con cui dialogare direttamente con il cervellone centrale, ma sempre su maschere molto rigide e non modificabili, non plasmabili, come richiedeva questo lavoro. Cominciai solo col copiare i quadernoni, mentre il “fare”, il decidere, veniva dalla grande esperienza di Silvio e con la collaborazione tecnica di Dante. Quando era il momento si lavorava anche fino a tarda notte, quando non c’era nessuno che rompeva! Silvio mi lasciò entrare velocemente in quel mondo che capii subito era il mio mondo, mi diede fiducia, capì che quel lavoro mi appassionava!

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Per quanto i nostri calcoli e previsioni fossero esatte, c’era un dato che non decidevamo noi, che era appannaggio dei responsabili commerciali Italia e Estero. Quei due dati determinavano il fattore di divisione delle spese generali, ma mi vien da dire che il più delle volte, anzi direi sempre, erano sparate a caso, mai determinate da un razionale calcolo dovuto a interpelli dei vari agenti e rappresentanti con relativi loro impegni a vendere. Potevi essere il miglior interprete della materia costi industriali ma, poi tutto finiva in mani non adeguate che ne vanificavano ogni senso. Per fortuna i quadernoni parlavano chiaro!

Un po’ alla volta e non appena sul mercato si affacciò il Commodore 64, per conto mio elaborai, con le nuove conoscenze di programmazione in Basic che acquisii, quei quadernoni per ricavarne dei metodi che potei sfruttare nella professione che mi andavo a creare: portare ad aziende, piccole e medie, quel lavoro che nessuna scuola insegnava! A seguito di questi controlli, mi accorsi ad Aprile, in un anno fortunato, che l’utile a fine anno sarebbe stato molto, ma molto elevato, dovuto anche a cambi molto favorevoli. Avvisai un consigliere di amministrazione che, per tutta risposta, mi disse che non erano affari miei. Misi i miei calcoli in bella mostra sulla lavagna in ufficio con data e risultati da me attesi e relativa risposta ottenuta. A metà dicembre, bilancino di controllo all’esame del consiglio di amministrazione; il Presidente trasalì! Riunioni urgenti e a margine la domanda solita rivoltami dal Presidente, se avessi avuto sentore di tutto questo. Risposi che io, pur non essendo mio compito e lavoro, avevo fatto notare “l’anomalia”, ma che la risposta fu ben chiara e che io oltre non potevo andare, avvisato, avevo avvisato. Mostraii i miei conteggi con l’annotazione della data di comunicazione. Il Presidente ebbe ulteriore conferma di tutti i suoi dubbi e sulla sua solitudine alla guida dell’azienda! In fretta e furia furono fatti acquisti a più non posso di macchinari, megacomputer nuovo, auto nuove (ovviamente), il tutto con fatturazione anticipata al 31 dicembre per sfruttare gli ammortamenti e diminuire così le imposte.

 

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Ogni tanto le riunioni venivano organizzate in “esterna”, con particolare punti di incontro le abitazioni del Presidente a Padova e a Jesolo. A Padova la casa era una villa immersa in un piccolo parco nel quartiere della S.S. Trinità. Naturalmente, per un sempliciotto come me, la prima cosa che ti colpiva era il cameriere con i guanti bianchi. La disponibilità e la gentilezza di chi ci ospitava era proverbiale. La Signora Bisazza e il Presidente erano persone eleganti che sapevano essere i signori! A Jesolo c’era quello che non ti saresti mai aspettato e che ti avrebbe lasciato a bocca aperta. Una villa di campagna immersa nel parco, ma quello che ti stupiva di più era tutto intorno. Campi e stalle a cui facevano confine i canali di Jesolo. La tenuta si girava in auto e ci fu fatta vedere l’ultima stalla costruita con all’interno 500 torelli, (uno per ogni dipendente? Boh? Non ho appurato se uno si chiamasse Paolino). Non so bene quali fossero confini di tutto questo, ma da voci raccolte, in uno degli appezzamenti è stata costruita Acqualandia. Si racconta ma, non ho potuto appurarlo di persona, che una delle auto per girare la tenuta, fosse la 600 scappottata, con i sedili in vimini, con la quale alla fine degli anni 50, gli Agnelli giravano per la costa Azzurra. Non so se fosse la stessa ma , così si raccontava. In ogni caso, se volessimo quantificare il valore, una “spiaggina” così, non quella degli Agnelli, nel 2014 veniva battuta all’asta per più di 100.000 euro! Le proprietà erano sicuramente molte anche all’estero, si sentiva parlare di Sud Africa e Australia, zone di caccia di Paolo. I preparativi per le partenze per la caccia erano periodo di stress per Giovanni. Preparare le liste del vestiario. “due calzini, due canottiere, due mutande……”evidentemente bastavano! Il problema era quando si arrivava alla parola “pallottole DumDum” e riuscire in qualche modo farle imbarcare in stiva da Alitalia! Di tutto questo non esiste più nulla. Non di certo il primo tracollo fallimentare di Lima è stato un fallimento in cui i titolari siano riusciti a fallire con i soldi. Sicuramente no! La ripercussione sul patrimonio, degli amministratori, da quello che ci è dato sapere, è stato totale, pertanto va dato onore anche a questo!

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E’ il 1983 e la crisi del mercato del treno ma , in generale dei giocattoli come li avevamo conosciuti noi, era cominciato. Lima cominciava a prendere le prime contromisure, che ahimè non risultarono così efficaci. Mi sembra di ricordare ma non l’ho visto realizzato, un treno che si trasformava in aereo o qualcosa di simile. Infatti quelle erano solo le prime avvisaglie del cambiamento epocale, si trattava solo di qualche auto o altro radiocomandati, dovevano ancora venire i videogiochi o altri giocattoli tecnologici o influenzati dallo show business creato da cartoni animati e altro! Pertanto stava avanzando anche una crisi strutturale delle aziende. Le innovazioni tecnologiche che stavano arrivando sempre più prepotenti, richiedevano sempre più personale in grado di gestire la tecnologia e i dati che ne scaturivano e di conseguenza diminuiva la necessità di operatori comuni. Anche Lima ne risentì di questa ondata di novità. L’elaboratore elettronico sempre più capace, anche se non arrivava minimamente alle capacità di un nostro smartphone, sputava fuori dati che andavano analizzati, studiati, capiti. Non c’era più bisogno del passacarte e compilacarte. Arrivavano gli ordini via posta e venivano direttamente inseriti con videoterminale. A me non piacevano i buchi di lavoro e con sommo piacere di alcuni colleghi, “rubavo” loro il lavoro di inserimento ordini, lavoro che mi serviva anche per capire meglio l’andamento degli ordini prima ancora della esplosione in batch di ogni 15 giorni. Praticamente , così facendo, scrutavo gli ordini e potevo intervenire prima sulla produzione. Chiaramente, tutti gli uffici risentirono di questo cambio epocale, il lavoro era diminuito in ogni settore. E se ne accorsero anche gli amministratori. In una riunione di inizio ottobre, L’ordine del giorno c’erano le misure da attuare per combattere la crisi e il surplus di personale. Si sapeva da giorni che ci sarebbe stata questa riunione con conseguente decisione e l’aria era diventata veramente pesante. Ci si guardava un po’ tutti chiedendosi cosa sarebbe successo?

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Partecipai a quella riunione tra i vari responsabili, a cui non partecipò il Presidente. Io ero lì ma non dovetti prendere alcuna decisione, non avevo sottoposti, anzi ero un po’ preoccupato anche per me, però mi ero creato la mia via di salvezza con la mia capacità di fare i costi industriali. Grazie a tutte le riunioni e conferenze che avevo tenuto in Associazione Artigiani, avevo speranza di creare uno studio mio di consulenza. La decisione fu di licenziare 10 impiegati e compilata la relativa lista dei nomi. Ovviamente la consegna era di non parlare di questa cosa. Quel giorno però ci fu chi parlò della riunione ad alta voce in mezzo ai corridoi, vantandosi della decisione dei 10 licenziamenti, ma senza far nomi. Chiaramente fui in qualche modo contattato dai miei colleghi sull’esito, ad alcuni potevo dire stai tranquillo, ad altri purtroppo dovevo dire che non si sapeva ancora nulla di preciso! Dentro di me però balenò l’idea che dovevo far qualcosa, io avevo una alternativa, io potevo andare via, io potevo liberare un posto e salvare almeno uno di quei posti di lavoro, tanto o prima o poi l’avrei fatto, e ero già sicuro che l’andamento che vedevo nelle mie statistiche era così negativo che non poteva essere l’unica misura che avrebbe dovuto prendere Lima per salvare l’azienda. Decisi! Presentai la mia lettera di dimissioni, prima al direttore amministrativo rag. Paolo Conchetto, poi fu convocato in ufficio da Paolo che mi confermò che io non c’ero nella lista. Lo so bene dissi ma, io posso trovare lavoro, mentre quasi tutti quelli della lista no, perché troppo anziani o non qualificati per i cambiamenti che stavano avvenendo nel mondo. Così facendo conto di salvare un posto di lavoro per loro. Non fu presa molto bene la mia decisione, anche perché venne a conoscenza del fatto il Presidente che, si affrettò, nonostante le sue sempre più precarie condizioni fisiche, ad indire una riunione a Vicenza. Non partecipai a quella riunione ovviamente, ma non ci fu bisogno di essere presenti per sentirne “gli echi”.

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In sostanza il Presidente gridò che non si poteva sbandierare ai 4 venti le così delicate decisioni prese in riunione e che così facendo avrebbero assistito ad una emorragia delle persone che potevano andarsene perché, avrebbero trovato porte aperte in altre aziende sapendo che provenivano dalla Lima. La decisione fu revocata e i 10 licenziamenti non si fecero. Non so se tutti i miei colleghi conoscano questa storia, ma di quelle che vi ho raccontato qui, è la meno romanzata e quella che si attiene di più ai fatti. E’ anche però l’unica cosa che contesto al Presidente ing. Ottorino Bisazza: quei licenziamenti andavano fatti, non c’era scelta! Ma tante volte entra in gioco anche l’onore personale e l’amore (lasciatemi passare il termine sicuramente non corretto) verso le persone che dipendono da te. Questo amore, questo attaccamento l’ho vissuto in prima persona dopo la fine del mio lavoro in Lima, quando passai dall’altra parte della barricata. Quando tutte le mattine passavo per le postazioni di lavoro dei miei ragazzi e chiedevo loro come stavano, come stavano moglie e figli, e dovermi ricordare i nomi e se il giorno prima il figlio aveva la febbre di domandargli se era passata. Certo si potrebbe dire che questo è tempo perso ma, non è così. Quello che ricevi in cambio anche sulla quantità e qualità del lavoro è immensamente più grande, anche sulle rivendicazioni di ogni tipo! Lo posso provare ora che sono in pensione con le continue testimonianze d’affetto che ricevo, non più da dipendenti ma da amici! La felicità passa anche di qui, da come ti interfacci con le persone, da come ti apri, da cosa consideri per lavoro e da come lo ami!

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Di alcuni colleghi che non ci sono più ho già parlato nei vari capitoli, di altri volevo fare un piccolo ricordo. Quei colleghi che ricordo e che so, purtroppo di altri presuppongo, vista l’età che non ci siano più.

Luciano, un anno più vecchio di me, affiancò Dante per la gestione di tutti i nuovi dati che uscivano dal computer, pertanto seguiva le scomposizioni che derivavano dai miei lanci di produzione. Carissimo, semplice amico. Mi chiese di fare le foto del suo matrimonio e che andava bene tutto quello che veniva, non so quante cavolate io abbia fatto, sicuramente non avevo l’attrezzatura adeguata. Grande appassionato di ciclismo, ci hai lasciati così qualche anno fa all’improvviso. Così anche Lorenzo, il nostro rosso, anche se di capelli per mostrare il rosso ne aveva ben pochi. Disegnatore dal tecnigrafo al computer, non ho saputo che ci avevi lasciati, ma tanto tu il funerale manco l’hai voluto!

Francesco, anima bizzarra e artistica. Anche se quando ti ho conosciuto non eri già più dipendente Lima, lavoravi alla realizzazione di plastici, modellini in scala ed eri fotografo, insomma mani d’oro! Mi ricordo quella volta che entrai a casa tua e in mezzo a una sfilza di LP Jazz e rock, sulla parete faceva bella mostra un poster in seppia che riproduceva, però con te e i tuoi amici protagonisti, la copertina di DejaVu dei CSNY, un mito!!!

Anche Paolo Conchetto ci ha sorpassato nel tornante della vita, era un buono, un padre di famiglia! Così come lo era Orazio, finto burbero per la posizione che aveva di responsabile del personale e interfaccia sindacale dell’azienda, una posizione poco invidiabile che richiedeva non pochi salti mortali!

 

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I miei ricordi si interrompo con il 31 dicembre 1983, si proprio 31 dicembre, in quanto, per terminare i listini e permettere ai miei colleghi di fare le ferie natalizie, io andai a lavorare fino al 31 dicembre, quando potevo terminare tranquillamente prima e tutto sommato potevo disinteressarmi benissimo dei listini Lima! Iniziai una nuova avventura, che in parte sì, era collegata con i costi industriali e la mia voglia di aprire uno studio di consulenza, ma dall’altra, vedeva la richiesta di un mio collega, Silvano Spiller, di mettermi a sua disposizione per un anno. Infatti lui aveva una partecipazione nell’azienda dove aveva lavorato prima e la socia, che seguiva la fabbrica, avrebbe partorito di lì a qualche giorno. Accettai e li rimasi dal 1984 al 2016 con anche una piccola partecipazione societaria. Perchè racconto questo nella storia della Lima? Perchè nel 2004 Lima chiude definitivamente e viene ceduta al perfido albione per gli 8 milioni di euro ricordati anche su Wikipedia. E la cordata vicentina? Eccovi servita la risposta, il capofila era Silvano che non potè portare a termine la sua impresa per la decisione del giudice, nonostante l’impegno fosse quello di salvare i posti di lavoro. E da qui la decisione di partire ex novo, di 18 ex dipendenti con una nuova ditta, la ViTrains. Fu la volontà e l’amore che spinse a compiere questo gesto, l’amore per la tradizione del trenino a Vicenza e la volontà che questa tradizione non fosse perduta.

Così facendo si salvarono posti di lavoro compiendo enormi sacrifici e anche perdite monetarie per poter realizzare questo sogno d’amore. Le famiglie furono salve e quasi tutti ormai hanno raggiunto il pensionamento, che non era una preoccupazione da poco per tutti. Silvano è ancora là che conduce e che cura questo amore, nel ricordo anche del padre Angelo, primo impiegato della Lima.

Forse qualcun altro scriverà la storia di ViTrains, o della CMP Industrie proprietaria del marchio ViTrains, non certo io, anche perchè le storie si scrivono perché c’è una fine e spero che questa sia estremamente lontana e fuori dai limiti delle nostre età.

 

 

 

Festa dei dipendenti Lima del 26 ottobre 2018 presso Fazenda di Isola Vicentina

Discorso rivolto ai 170 intervenuti e al signor Enrico Bisazza per l’occasione da Paolo Lavarda:

“Buonasera e benvenuti a tutti.

Mi chiedo quale sia la ragione per la quale ci ritroviamo così in tanti, dopo quasi 14 anni dalla chiusura definitiva, ma per alcuni come me dopo quasi 40 anni. A mio parere è l’amore per questo nome e cosa c’è stato dietro. Penso sia ancora un vanto poter dire io lavoravo alla Lima.

Permettetimi di dire anche che noi siamo fortunati ad essere ancora qui in questa serata, e penso ai molti che non possono più essere qui con noi, che hanno segnato positivamente e a volte anche no, la nostra vita lavorativa e non solo. A tutti voi in questo momento passeranno davanti volti che ci furono cari. Permettetimi un mio ricordo personale per le due persone che maggiormente hanno influenzato la mia vita lavorativa e conseguentemente di uomo, poi imprenditore: Il dott. Poggi che mi assunse, uomo altamente competente ed  integerrimo, che tanto indispensabile sarebbe stato nei momenti difficili alla Lima ma, ci lasciò troppo presto e Silvio Conti, mio maestro, mentore, mi ha insegnato come essere uomo e che l’umiltà, la generosità e il sorriso nei rapporti personali pagano sempre. Il loro ricordo mi ha sempre guidato. Mi sono confrontato con alcuni in questi giorni e mi hanno confermato la sensazione che io avevo del lavorare alla Lima: la voglia del lunedì. Lima ha rappresentato la nostra gioventù, i nostri amori, le amicizie che ancora durano. Un amore che non è terminato con la fine fisica di Lima. Fu la volontà e l’amore che spinse a far partire ex novo 18 ex dipendenti con una nuova ditta, la ViTrains. Se sono qui presenti vorrei pregarli di alzarsi in piedi.

E’ anche merito loro, se nel mondo, Vicenza continua ad essere ricordata come patria del trenino, e credetemi la storia di ViTrains per i modellisti, è indissolubilmente legata al nome Lima. Questa sera non è potuto essere qui con noi chi continua a condurre ancora questa impresa con amore, anche nel ricordo del padre Angelo, che se non rammento male era il numero 1 nel libro matricola degli impiegati, mentre mio suocero era il numero 1 in quello degli operai, Silvano Spiller. Pertanto indegnamente mi permetto io, signor Enrico, di ringraziarLa per la sua presenza questa sera, sobbarcandosi anche una trasferta non proprio corta. Volevamo significarLe l’affetto che ancora circonda Lima e il suo mondo, testimoniato non solo dagli ex dipendenti qui presenti, ma anche dagli innumerevoli gruppi di Fermodellisti che apprezzano Lima, ma intendo Lima degli anni 60/70/80 in giro per il mondo. Questi fermodellisti o meglio Limaioli come si chiamano tra loro che, attraverso i moderni mezzi di comunicazione spero possano vedere questo saluto e questo momento di incontro fra noi e continuino e tramandino la passione del fantastico mondo dei trenini Lima.

 

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