Su di me



Questo paragrafo potrebbe essere un invito a scrivere la propria storia ma, tutto ciò potrebbe essere assai noioso per chi legge, però potrei inserire a capitoli degli episodi della mia vita fino a che rimarranno impressi nella memoria. Spero servano più che altro ad essere ritrovati da mia nipote e se ci saranno, dagli altri nipoti, i nonni non si conoscono mai e forse a volte neanche i figli sanno poco o nulla dei loro genitori, l'incomunicabilità a volte è assordante. 

Sono nato nel 1955, e questo può dar già ragione al fatto che di memoria potrei averne conservata poca.

Cosa mi ricordo della mia infanzia? Quali episodi sono rimasti impressi al di là della quotidianità di un bimbo che non rimane mai impressa.

Di quand'ero piccolo piccolo, forse il primo ricordo è della neve e io che guardavo dalla finestra. Quell'anno dev'essere stata una nevicata eccezionale ma , dagli annali, quella eccezionale è stata del febbraio 1956 ma, forse ero sì troppo piccolino per ricordarmi, mentre potrei ricordarmi quella del gennaio 1957. Mi ricordo di ragazzi in strada ad Anconetta che giocavano a tirarsi palle di neve e mi chiamavano, vedendomi alla finestra ma, forse, erano più interessanti a farsi notare da mia madre, penso io! La finestra era attrezzata con griglia in legno di colore verde che si appoggiava al telaio in pietra del davanzale permettendomi di rimare seduto sullo stesso. Questo facilitava mia madre nel darmi da mangiare, cosa per me del tutto superflua da fare, e così distraendomi con "guarda il cavallo, clop, clop, clop","guarda il camion, brum, brum, brum", riusciva ad infilarmi qualcosa in bocca. Ovviamente quella sera non mi mise sul davanzale per il freddo, mi fece affacciare solo per un attimo a vedere quelle ombre alla luce fioca dei lampioni di allora, illuminati da qualche faro delle poche auto di allora, spostarsi in mezzo a quelle montagne di neve al bordo della strada!

E la befana era brutta e passava giù in strada con la scopa e il sacco sulle spalle. Uno scialle che le copriva anche la testa e gli occhialoni da vista. Che paura!!!

Nella casa dove abitavo al primo piano, con il bagno giù dalle scale che veniva usato anche dagli avventori del bar del padrone di casa, abitavano altri bambini. Dino sullo stesso mio pianerottolo, Mauro, anche se abitava nella casa a fianco, le sorelle Gabriella e Renata, e altri bambini di cui non ricordo i nomi. Dino e Mauro erano però i compagni di giochi preferiti. Ci si trovava a casa di Dino a giocare a carte, loro erano esperti perchè avevano i loro genitori che li addestravano, io, invece, imbranato, come resterò anche più in là negli anni, potevo solo soccombere davanti alle loro regole e abilità. Ma la cosa che più ci divertiva erano le puzzette, sempre negate ma, non si poteva negare difronte all'annusata che puntualmente Dino, alzandosi di scatto, andava a fare alle nostre natiche.

L'orologio a pendolo scandiva i minuti e cinguettava le ore con il suo cucù. Alle 16, burro zucchero e cacao, roba da ricchi a casa di Dino, il papà era nella Guardia di Finanza e a casa loro non mancava nulla, non si poteva dire certo la stessa cosa della mia di casa.

La prima esperienza sessuale della mia vita, che ha impiegato molti anni ad essere seguita dalla seconda, è stata a 4 anni, e me la ricordo bene! Da poco tempo, al piano si sopra, era venuta ad abitare una signora con due bambine, una delle quali aveva la mia età. Era effettivamente molto carina e aveva attirato la mia attenzione. Un giorno ci sedemmo a giocare sugli scalini della sua rampa di scale e ad un certo punto si alzò la maglietta e abbassò un po' l'elastico dei pantaloncini per farmi vedere più giù dell'ombelico. L'imbarazzo mio era notevole assieme alla curiosità ma, immediatamente arrivò la voce di mia madre :"Paoloooo, dove sito?" Chissà cosa avrà pensato vedendomi rosso in viso non solo per la vergogna, ma per il chiaro interesse che avevo provato. Non lo sapevo ancora ma, quello era il giorno da cui dovevo capire che non sarei stato gay! Dopo poco quella bambina cambiò ancora casa. Come tante storie fugaci, neanche il nome, neanche il ricordo del viso ma, solo dell'ombelico.

Nonostante io abitassi in campagna, sostanzialmente, ero un bambino di città. Mia madre era cittadina e mi allevava come fossimo in città. Pertanto l'impatto nei contatti con i bambini di Anconetta era a volte molto duro. Mi ricordo che una volta andai a giocare con i bambini della fattoria dietro casa. Per loro era normale prendere grilli, lucertole, e altro e infliggere ai malcapitati torture inenarrabili e nel caso di una rana, catturata in mia presenza, neanche Vlad Tepes (noto come Dracula l'Impalatore) avrebbe avuto tutta quella fantasia nell'essere cattivo! Io guardavo terrorizzato e se mi dicevano di toccare o fare rifiutavo, non per convinzioni ecologiste, (la parola non esisteva ancora) ma, per paura, timore, ribrezzo, nel toccare un essere vivo o morto che fosse. Queste paure mi rimasero anche più in là nel rapporto con gli animali in genere, insomma rispetto e timore.

Altro rito di violenza inaudito oggi ma, in passato era la normalità in una casa di campagna, era l'uccisione del maiale. Il nostro padrone di casa aveva una trattoria e dietro casa teneva i maiali e, se non sbaglio, a inizio dicembre arrivare il tempo per "far su el mas-cio". La preparazione dei tavoli con le gambe basse, l'arrivo di tini pieni di acqua bollente, Persone con i grembiuli di cuoio e grande sferruzzare di coltelli per meglio affilarli. L'arrivo del maiale, trascinato e trattenuto con le corde, con grida e strilli di uomini e maiale, muscoli contro muscoli, corde vocali contro corde vocali. Alte grida che si sopivano in un rosso bagno, recuperato in catini bianchi. Sembravano tutti divertiti da questa morte, io ero spaventato. E poi acqua bollente e via di coltello.Avevo pochi anni e non mi facevano guardare ma, intravedevo, sentivo, odoravo. 

Tutti i bambini andavano all'asilo, io no! Ero arrivato ai 5 anni ma  ero sempre rimasto a casa con mia madre, l'asilo costava e mia madre era a casa apposta per allevare il figlio. Però un tentativo l'hanno fatto i miei genitori, ho avuto il mio primo giorno di asilo! In verità è stato anche l'ultimo, sono ritornato a casa che non stavo bene e ho vomitato quel poco di riso che avevo mangiato. lo stomaco era chiuso e non avevo praticamente mangiato nulla. Fatto! Il giorno dopo rimasi a casa, fine dell'esperienza e potevo tranquillamente rimanere incollato alle gonne di mia madre ancora per un anno. 

Tappa fissa per gli abitanti di Anconetta era la serata del sabato sera all'Enal a guardare la televisione. Pochi, a quei tempi, avevano la televisione in casa e la soluzione era andare a bere qualcosa al bar per poter guardare Lascia o Raddoppia! Così, con mamma e papà, a volte, si andava all'Enal, e anch'io a volte davo spettacolo. Mi mettevano su una sedia e mi facevano cantare le canzoni di Adriano Celentano o Joe Sentieri. Una volta, non so se dall'emozione o altro, vomitai come nell'esorcista. Grande spargimento di segatura e poi ramazza da parte del gestore del bar.

In uno degli appartamenti del pianerottolo, vennero ad abitare due freschi sposini, infatti per tutti erano gli sposetti. A loro piaceva invitarmi a mangiare a casa loro, e fu con loro che scopersi i piselli, o meglio è con loro che non potei chiudere la bocca e non mangiarli. Infatti rifiutavo sempre cibi nuovi ma, in quelle occasioni, non potevo rifiutare, il senso del dovere già stava prendendo il sopravvento su di me! Imparai a prendere i piselli con la forchetta e spingerli sulla forchetta con il pane. Devo dire che fino a poco fa, gli unici legumi che mangiavo erano i piselli.

C'è stata una volta che, avrò avuto 4 o 5 anni, penso di essere stato molto malato. Ricordo che la domenica, praticamente, avevo tutti i parenti attorno al mio letto. Era arrivata una signora che doveva farmi una puntura di penicillina. Avevo la febbre alta ed erano tutti preoccupati. In qualche modo mi distrassero e la signora lesta, mi fece la puntura. Quando finì, mi girai di scatto e piangendo, pieno di rabbia, chiesi chi fosse stato. Mia zia Elvira si fece avanti e mi disse che era stata lei e di darle uno schiaffone. Non me lo feci ripetere due volte, sciaff!! Ero soddisfatto e il male era passato. Povera zia, come me la ricordo bene! Sicuramente mio papà era rimasto in cucina, con mio zio Angelo, a farsi raccontare per l'ennesima volta della ritirata di Russia, di 100.000 gavette di ghiaccio o delle sue opere preferite.

Durante la malattia, ricordo la borsa nera, con la chiusura a clic clac, due palline dorate che si sormontavano, veramente dure per un bambino ma, c'era la mamma che mi aiutava ad aprirla. Dentro c'erano tante vite, tanti racconti. Tutte le foto di mamma e papà, dei nonni e delle zie. Ogni foto aveva un racconto che la mamma mi faceva ogni volta. I miei perchè, trovavano sempre dolci risposte. Passavo ore con quelle foto e imparavo. Guardare le foto era il mio divertimento preferito anche quando andavo dai nonni materni. Dai paterni c'era solo una grande foto, appesa in cucina, mi sembra del matrimonio dei miei genitori. Con sullo sfondo una 600 multipla, per l'unica volta, era schierata tutta la famiglia intera, non successe mai più.



 

Commenti

Post più popolari